Tokyo Godfathers: recensione del film di Satoshi Kon

Per la nuova stagione di Nexo Studios Anime al Cinema, il terzo film diretto dal regista e fumettista giapponese torna al cinema il 24, 25 e 26 novembre

La miracolosità del cinema è senza tempo, e in Tokyo Godfathers prende forma attraverso una trama dominata da scelte che sembrano poggiarsi sul caso, illuminando luoghi di penombra, spazi oscuri e troppo a lungo sottaciuti. A 22 anni dalla sua realizzazione torna al cinema l’opera del compianto Satoshi Kon, regista e fumettista giapponese che, dopo aver rivoluzionato l’immaginario dell’animazione adulta con Perfect Blue (1997) e aver scandagliato memoria e identità con Millennium Actress (2001), ha poi dato forma al terzo lungometraggio da lui interamente diretto, prima di trovare una definitiva consacrazione con il celebre e visionario Paprika (2006). Realizzato presso Madhouse, il film nasce dalla collaborazione con la sceneggiatrice Keiko Nobumoto (Cowboy Bebop), che conferisce al racconto una struttura in equilibrio costante tra ironia, dramma e meraviglia, ma in realtà Tokyo Godfathers affonda le sue radici nell’opera letteraria dei primi anni ’10 del Novecento, The Three Godfathers di Peter B. Kyne e, più nello specifico, in uno dei suoi numerosi adattamenti cinematografici: In nome di Dio, diretto nel 1948 diretto da John Ford (che già nel 1919 ne aveva realizzata una versione muta). Kon ne riprende i temi fondamentali per poi però discostarsi radicalmente sia per ambientazione che per caratterizzazione dei personaggi.
La riproposta dell’opera – ennesimo tassello del grande progetto Anime al Cinema, promosso Nexo Studios – invita a riscoprire sul grande schermo un classico moderno capace di unire delicatezza, ironia ed emozione sotto l’insegna di una Tokyo notturna e rivelatrice.

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Tokyo Godfathers: l’incidenza delle coincidenze

Tokyo Godfathers cinematographe.it

Nella frenesia della notte di Natale, tre senzatetto – Gin, un uomo di mezza età segnato dall’alcol e dalla colpa; Hana, un’ex drag queen dal cuore grande e dal temperamento teatrale; e Miyuki, una giovane scappata di casa – trovano una neonata abbandonata tra i rifiuti. L’inaspettata scoperta sconvolge il fragile equilibrio del trio che, nonostante le brame adottive di Hana, decide di riportare la bambina ai suoi genitori, intraprendendo un viaggio rocambolesco per le strade innevate di Tokyo. Da quel momento, una catena di coincidenze, incontri improbabili e incastri sempre più vertiginosi guida i tre protagonisti attraverso una città dove ogni vicolo sembra nascondere un frammento della loro storia personale. Eventi fortuiti si trasformano in snodi narrativi, persone del passato riaffiorano come apparizioni, e la casualità si fa motore centrale del racconto, innescando una serie di accadimenti che rimescolano continuamente le carte del destino. Le coincidenze, qui, non sono semplici espedienti narrativi: diventano il linguaggio segreto attraverso cui la città – o forse qualcosa di più grande – comunica con i personaggi, spingendoli verso una trasformazione che non sapevano di cercare.

Il regalo dal passato che si fa presente

Tokyo Godfathers Nexo Studios cinematographe.it

Nel cuore di Tokyo Godfathers pulsa il tema del miracolo: un dono inatteso, quasi divino, che irrompe nella vita di chi non si sente degno di riceverlo. La bambina trovata tra i rifiuti diventa così un segno e un invito a confrontarsi con i propri fallimenti, le proprie omissioni e i dolori volutamente dimenticati. In modo simmetrico, la riproposizione del film al cinema da parte di Nexo Studios appare come un dono agli spettatori contemporanei, un’occasione per riscoprire un gioiello dell’animazione dei primi Duemila che parla ancora con sorprendente freschezza di seconde possibilità. Nel corso del film, il passato ritorna in forma di ombre, ricordi, vecchi debiti e persone dimenticate: è un passato che non solo riemerge, ma si intreccia al presente con una forza trasformativa, costringendo i personaggi a guardarsi dentro e a riconoscere ciò che avevano tentato di fuggire.

Il regista nipponico, tramite le coincidenze ed un intricato gioco tra presente e ricordo, ricama un racconto sui margini, su chi abita la città senza mai abitarne davvero la vita, senza mai essere visto. La condizione dei senzatetto, poco rappresentata nel Giappone di quegli anni nonostante la forte crisi economica precedente, diventa lente attraverso cui osservare una società che preferisce non vedere ciò che non sa come affrontare. Eppure, nel buio della notte, la neve che ricopre Tokyo restituisce luce e riflessi persino agli angoli più dimenticati, trasformando la città in un teatro in cui i marginali acquisiscono valore e dignità. Tokyo non è solo sfondo, è un personaggio vero e proprio, vivo, mutevole, complice di coincidenze e rivelazioni, capace di nutrire il racconto con la sua energia contraddittoria e la sua solenne indifferenza.

Tokyo Godfathers: valutazione e conclusione

Satoshi Kon cinematographe.it

Satoshi Kon rimane uno dei più grandi registi dell’animazione mondiale, un autore capace di fondere realtà e narrazione con una lucidità rara e un senso dell’immagine che dialoga sempre con la mente dello spettatore. Tokyo Godfathers, seppur scaricata della portata onirica e illusionistica di opere come Perfect Blue e Paprika – superiori per radicalità e visione – rappresenta una preziosa parentesi nella sua filmografica, un racconto di umanità in grado di abbracciare chiunque vi entri. La sceneggiatura è un piccolo meccanismo prezioso: intreccia eventi, personaggi e coincidenze con una progressione incessante, che accresce innestando costantemente nuovi livelli di lettura e mantenendo un ritmo dinamico.

È senza dubbio il film di Kon più accessibile, una qualità che, se da un lato ne amplia il pubblico, dall’altro ne attenua la profondità: alcune coincidenze risultano infatti troppo dichiarate, attese, mentre i dialoghi risultano semplificati oltre il necessario; una scelta in grado di rappresentare la modesta formazione dei protagonisti, ma che porta ad una minor incisione patetica di alcune scene. Anche il doppiaggio italiano tende talvolta a smussare quella ricerca di autenticità emozionale che la versione originale sapeva invece vibrare con maggior naturalezza ma, nonostante ciò, Tokyo Godfathers resta un film prezioso, pregevolmente costruito: un piccolo miracolo di cinema capace di scaldare e ricordare quanto la bellezza possa nascondersi nei luoghi meno osservati.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.4