Tin & Tina: recensione del film di Rubin Stein

Il nuovo thriller psicologico del regista Rubin Stein è su Netflix: una produzione spagnola, con Jaime Lorente (star de La Casa di Carta), che strizza l'occhio al genere horror, ma non alza abbastanza l'asticella.

Tina & Tina è in top nella classifica dei film più visti della settimana sulla piattaforma di streaming Netflix: si tratta del nuovo thriller psicologico del regista Rubin Stein, una produzione spagnola, che vede nel cast il volto noto di Jaime Lorente (Denver ne La Casa di Carta) a fianco di Milena Smit, nonché due giovanissimi – e promettenti – protagonisti, Carlos G. Morollón e Anastasia Russo.

Tin & Tina
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Ripreso da un precedente cortometraggio dello stesso regista, il film sviluppa una trama interessante, che pone al centro della narrazione le dinamiche familiari e il rapporto degli esseri umani con la religione.

Fatta eccezione per qualche sequenza dalle sfumature horror, la pellicola non è comunque totalmente ascrivibile al genere, ma è un lungometraggio che ha in sé spunti stimolanti.

La trama del film di Rubin Stein

Spagna, Anni Ottanta. Una giovane coppia di sposi sta per diventare genitori, ma proprio poco dopo la cerimonia nuziale, Lola (Milena Smit) subisce un aborto, che le danneggia gravemente il grembo. Alla donna viene detto che non le sarà più possibile diventare madre e, dopo un po’ di iniziale titubanza, Lola si lascia persuadere dal marito Adolfo (Jaime Lorente) a recarsi in un convento di suore che ospitano una comunità di orfani per adottare un bambino.

Malgrado Adolfo pensasse di adottare un neonato, la moglie resta colpita e in un certo senso affascinata da due fratelli, Tin e Tina, ai quali sente suonare meravigliosamente l’organo all’interno della cappella. due ragazzini sono due personaggi inconsueti, quasi borderline, smilzi e albini.

La coppia prende con sé i due bambini, ma l’arrivo dei bambini nella casa di Lola e Adolfo sembra essere presagio di ulteriori sventure.

Il film di Rubin Stein è in top, ma di originale non ha poi così tanto

Parte della critica internazionale sta celebrando il film come uno dei migliori horror del 2023: peccato che, di horror, innanzitutto il lungometraggio di Rubin Stein abbia ben poco.

Tin & Tina
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Jaime Lorente
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Alcune sequenze ricalcano la suspense e le atmosfere di horror stravaganti come Orphan – il mood in fondo è lo stesso, la persona “estranea” che viene accolta in un nucleo familiare e gli si rivela ostile – ma il film di Stein rimane comunque un film a sé stante, non propriamente calzante nel genere.

La sceneggiatura presenta una trama di base intrigante, perché punta a parlare della religione sotto il punto di vista del fanatismo: i due piccoli protagonisti hanno ricevuto presso il convento in cui erano stati accolti come orfani un’educazione religiosa così rigida tanto da essere totalmente ossessionati da concetti e ideologie quali il castigo divino, l’ira di Dio, il peccato e dall’idea di dover seguire una serie di norme, dogmi e precetti durante tutto l’arco della loro quotidianità.

Il male, insomma – sembra volerci dire Rubin Stein – può venir fuori anche dalle creature che all’apparenza sembrano più pure e innocenti di tutti, anche dall’eccesso di zelo e nascondersi dove tutto sembra volto alle buone intenzioni.

Tin & Tina
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Rubin Stein
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Eppure, nonostante il tentativo di indagine psicologica e sociale svolto dal regista con il lungometraggio, Tin & Tina si perde facilmente in alcune scene cliché, non avendo una proprio tridimensionalità e neppure una vera e propria originalità tanto da potersi ritenere “uno dei migliori film dell’anno su Netflix”.

Nel film, ad esempio, viene messa in luce la tensione – ai limiti del sessismo – tra marito e moglie, ma non si scava a fondo e alla fine della storia di Lola ci accorgiamo di sapere poco, e niente.

Tin & Tina: conclusione e valutazione finale

Nonostante la sceneggiatura avrebbe potuto osare di più e descrivere più a fondo la psiche dei personaggi principali, soprattutto dando maggiore background ai due fratelli (bravissimi, insieme al resto del cast) e al loro trascorso in convento, il lungometraggio ha una produzione e una post produzione apprezzabili.

Rubin Stein è abile e ammaliante alla regia, Alejandro Espadero fa un buon lavoro come direttore della fotografia e le musiche di Jocelyn Pook si sposano bene con l’atmosfera generale del film e delle singole scene.

Da vedere? Sì, ma abbassando le aspettative.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.5

Tags: Netflix