The voice of Hind Rajab: recensione del film, da Venezia 82
The voice of Hind Rajab è un film struggente, un film che fa male, commovente dall'inizio alla fine.
The voice of Hind Rajab è diretto da Kaouther ben Hania, regista e sceneggiatrice tunisina del film L’uomo che vendette la sua pelle e del documentario Quattro figlie, entrambi candidati all’Oscar rispettivamente come Miglior film straniero e Miglior documentario. Presentato in concorso all’82ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, The voice of Hind Rajab è tratto da una terribile storia vera, avvenuta a Gaza il 29 gennaio 2024. Un cast di attori straordinari, Saja Kilani, Motaz Malhees, Clara Khoury, Amer Hlehel, compone uno dei migliori film di questa edizione. Tutto inizia nella sede della Mezzaluna Rossa, che si occupa di gestire le chiamate d’emergenza che arrivano continuamente. Quando si mettono in contatto con una bambina di sei anni bloccata in un’auto sotto attacco a Nord di Gaza, circondata dall’esercito che ha già semi-distrutto l’auto con una raffica di proiettili, l’ambulanza che dovrebbe salvarla deve però avere il via libera o l’esercito le sparerà a vista. Una volta ci sono volute nove ora per averlo. Mentre tutti cercano di parlare con la bambina, tenendola al telefono per assicurarle che prima o poi qualcuno arriverà, accordi e coordinamenti durano un’intera giornata e Hind Rajab, nome della bambina, non ha che sei anni, è spaventata, sola, circondata da soldati israeliani e la sua ancora di salvezza è un telefono.
The voice of Hind Rajab e la straziante realtà che da anni si vive a Gaza

The voice of Hind Rajab è un film struggente, un film che fa male, commovente dall’inizio alla fine. È ambientato interamente in un unico luogo, dove si risponde a telefonate d’emergenza, dove si organizzano coordinamenti con enti israeliani per garantire vie sicure, affinché gli aiuti umanitari non finiscano bersaglio del fuoco nemico. La voce di Hind è intervallata dalle reali registrazioni di quella bambina intrappolata in un auto a Nord di Gaza. Così come, nel finale, compaiono, in dei video, i veri volti di coloro che hanno tentato il tutto per tutto per salvarla. Figure che perdono il controllo e disinteressate delle procedure, vedendo la sopravvivenza e l’aiuto di chi è indifeso, ignaro e solo, circondato da cadaveri, come unica regola primaria. Anche se dovesse essere per l’ultima volta. Ma insieme a loro ci sono superiori che sanno quanto è importante seguire i protocolli, non lasciarsi trasportare dall’umanità di un mondo che sembra aver perso di vista questo concetto.
L’attesa del via libera per far sì che non si rischi la vita, che venga data per certa, promessa e concessa, la possibilità di arrivare in quei territori ed uscirne vivi. The voice of Hind Rajab è toccante ed estremamente drammatico, la visione è sofferta, come lo è la realtà che si sta vivendo a Gaza. The voice of Hind Rajab è un film da vedere, che riesce a farti entrare immediatamente nella storia, dove si percepisce tutta la paura, l’angoscia, l’ingenuità e le richieste di una bambina di sei anni. Hind dice che il buio le fa paura, non vuole che sopraggiunga la notte, dice che le stanno sparando, che vuole che qualcuno la venga a prendere. Hind è una bambina come tutte le altre, abituata a parlare e ad usare quei termini che testimoniano una guerra. Vive in zone dove il suono di esplosioni, di palazzi che crollano, proiettili che crivellano e carri armati che avanzano è un qualcosa di quotidiano, giornaliero, normativo. Così come la vista di strade disseminate di corpi.
Tensioni, contrasti e inquietudini in un giorno che nessuno potrà mai dimenticare

Hind è circondata dai cadaveri dei suoi familiari, unica sopravvissuta, nascosta, al centro di un esercito personificazione di un male che non conosce fine e che non ha barriere da non superare. Che ha come obiettivo i civili, tutti i civili, forse principalmente loro. La macchina da presa riprende lo shock dei volti di chi, ogni tanto, ha provato l’ebrezza di aver salvato e aiutato, la soddisfazione di essere stata utile attraverso la propria voce, attraverso un collegamento telefonico tra persone lontane messe in contatto. Ma anche lo sconcerto, la frustrazione e il dolore di quando questo non è stato possibile. La regia si concentra sull’espressività dei suoi protagonisti, sulle loro lacrime ed emozioni trattenute. “La bambina percepisce la tua agitazione” dice la psicologa al personaggio di Raana, che è al telefono con Hind. E Hind deve avvertire calma e sicurezza, potrebbe attaccare da un momento all’altro, sentendosi abbandonata, preda di promesse non mantenute.
Potrebbe cadere la linea, scaricarsi il telefono e le comunicazioni sarebbero così interrotte. Non c’è altro modo per rassicurare una Hind lasciata a se stessa, per tranquillizzare chi aspetta il suo ritorno, chi sarebbe pronto a sacrificarsi per lei. “Verrei, se potessi” dichiara con convinzione Raana, più volte. E quel verbo, il non potere e non ha a che fare con distanze che lo impediscono, ma con la consapevolezza che non la lascerebbero neanche avvicinare a quel veicolo, come fossero solo in attesa di un’altra vittima da aggiungere in quella giornata. La fotografia insiste su colori come il bianco, che simboleggia la purezza e l’innocenza, ma anche sul rosso, colore di sangue, simbolo di pericolo e guerra. Mentre la sceneggiatura è costituita da diversi tipi di dialoghi che si intersecano e incrociano: gridi disperati d’aiuto, scatti d’ira nei confronti di iter e prassi che fanno perdere tempo quando il tempo è ciò che manca davvero, insieme alla più indolente delle rassegnazioni quando i primi tentativi si rivelano vani.
The voice of Hind Rajab: valutazione e conclusione

The voice of Hind Rajab è il film che potrebbe essere premiato a quest’edizione della Mostra del Cinema di Venezia. È il film che fa più riflettere, che non si riesce a smettere di guardare, ma che al tempo stesso è anche il più difficile da guardare, da vedere fino alla fine. Sono già stati realizzati film ambientati in un unico luogo, come si sono già visti film dove l’unico mezzo di comunicazione narrativo è il telefono. Ma non come questo. A tratti insostenibile, per la crudezza di quanto racconta, ma traboccante di umanità, sensibilità ed empatia. Nonostante questa sia da subito la più naturale e la più difficoltosa da provare, da far uscire fuori, quando le telefonate sono, sono state e saranno migliaia. L’impossibilità di fare qualcosa e di agire che sentono i protagonisti pervade e investe lo spettatore come un fiume in piena, ed entra dentro le ossa la sensazione che tutti non stiano facendo abbastanza, se non nulla, per fermare il massacro che si sta compiendo a Gaza.
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