The Teacher: recensione del film di Farah Nabulsi dal 43TFF
La regista e attivista palestinese Farah Nabulsi scrive e dirige The Teacher, dramma in bilico tra politica e sentimento nel cuore della Cisgiordania. Fuori Concorso al Torino Film Festival, dall'11 dicembre 2025 in sala.
The Teacher ci ha messo un po’ ad arrivare in Italia. Il film, scritto e diretto dall’anglo/palestinese Farah Nabulsi – nominata all’Oscar per il corto del 2020 The Present – esce l’11 dicembre 2025 per Eagle Pictures dopo il passaggio Fuori Concorso al 43° Torino Film Festival. Il gran debutto risale al Toronto International Film Festival del 2023, quindi il ritardo italiano è di due anni. Ci sono casi in cui la meta conta più del viaggio; l’importante è che il film sia qui, l’attesa è sopravvalutata. Girato in Cisgiordania, The Teacher racconta, con un insolito mix di crudezza espositiva e sentimento – è la scelta più controversa, e non paga del tutto, è inevitabile – la violenza delle forze di occupazione israeliane (i coloni) e l’inestricabile groviglio di rabbia, desideri traditi, passioni, vendetta e impossibili dilemmi morali del popolo palestinese. Con, tra gli altri, Saleh Bakri e Imogen Poots.
The Teacher: politica e sentimenti

Saleh Bakri e Fareh Nabulsi si erano già incontrati all’epoca di The Present; bisogna approfondire. Quella era la storia di un padre e una figlia che decidono di comprare un regalo alla mamma/moglie e devono vedersela con le forze armate israeliane, in Cisgiordania. È giusto parlarne prima di affrontare The Teacher, perché è lì che affonda le radici il senso del cinema di Farah Nabulsi. Si può riassumere in questi termini: cronaca politica, con una particolare attenzione al versante umano, sentimentale, esistenziale della questione. The Teacher è l’espressione lucida e arrabbiata di un cinema politico e umanista; è una combinazione nobile, coraggiosa, ma ci sono delle smagliature. Anche delle eccezioni, se è per questo; la confusione (non solo morale) nella vita del popolo palestinese, sistematicamente oppresso e straniero in patria, il film la racconta con millimetrica, malinconica precisione.
Basem El Saleh (Saleh Bakri) è un insegnante, ma per molti suoi allievi è qualcosa di più: una guida morale, una figura paterna. Il bravo attore palestinese fa sua la dignitosa fermezza e la struggente fragilità del protagonista lavorando d’economia, portando sguardi gesti e parole all’essenziale, sacrificando il ridondante. C’è una verità luminosa e tragica nei suoi occhi – il passato familiare di Basem, che si svela a poco a poco, nasconde un terribile e doloroso segreto – ed è il gancio che lega il versante umano e politico del film. Adam (Muhammad Abed Elrahman) è l’allievo più vicino a Basem. Ha visto suo fratello morire per mano di un colono, e il processo non ha fatto giustizia. Vuole regolare i conti da sé perché sa che per un palestinese, nei territori occupati, la violenza è l’unica giustizia possibile.
Basem prova a dissuaderlo anche se, all’insaputa di tutti, partecipa alla lotta di resistenza, contraddicendo gli inviti alla moderazione che dà al ragazzo. L’uomo allaccia una relazione con Lisa (Imogen Poots), volontaria inglese – incarnazione del punto di vista occidentale, carico di buona volontà ma terribilmente ingenuo – e incontra Simon Cohen (Stanley Townsend), il papà di un ragazzo ebreo americano ostaggio delle forze palestinesi. Questo mondo caotico – idea di scrittura e solo dopo di regia, nata da un elementare osservazione della realtà – è l’humus narrativo di The Teacher. Serve a Farah Nabulsi per raccontare il tentativo dei personaggi, forse disperato o forse no, di tenere la barra dritta in un mondo violento, ingiusto e oppressivo. Responsabilità, scelta e giustizia; sono le parole chiave.
Un film “doppio”

The Teacher lavora con insistenza sull’idea del doppio. Non c’è solo la dialettica tra i due volti dei personaggi, l’esteriore e l’intimo, per spiegare come, a dispetto della pressione di un mondo violento e disumano, sia possibile fare la cosa giusta resistendo all’oppressione, senza cedere alla violenza o assuefarsi alla schiavitù morale. C’è anche un’altra partita doppia, più sottile, ed è lo scontro/confronto tra tutto ciò che è palestinese e ciò che non lo è. Farah Nabulsi non carica il film di complicatezze formali che allontanerebbero The Teacher dal suo cuore umano e politico: la regia è secca, precisa, asciutta, l’immagine modellata con sobrietà e un gusto appena accennato per il pittoresco; per questo c’è da ricordare il direttore della fotografia Gilles Porte.
È puntuale, la cronaca delle piccole grandi (soprattutto grandi) ingiustizie che complicano la vita dei palestinesi, con vette di irrealtà inaudite – l’IDF, dopo l’arbitraria distruzione delle abitazioni, li obbliga a pagare per la demolizione – ed è ammirevole che il film non ceda alla tentazione dello sconforto, alla retorica o a un cinema politico urlato e ruffiano. The Teacher sa contaminare le sue pagine più dolorose con parentesi, certo non di umorismo, ma di leggerezza. Tutto quello che c’è di puramente palestinese, nel film, la regia di Farah Nabulsi lo racconta con rigore, verità emotiva, integrità politica. I problemi cominciano quando il film si allontana dal suo epicentro per raccontare il rapporto tra la realtà palestinese e… tutto il resto.
L’inciampo non sta, come sottolineato da parte della critica, nella possibilità di un sentimento tra i personaggi interpretati da Saleh Bakri e Imogen Poots, ma nel fatto che le visioni dei due – l’una dolorosamente consapevole e “bloccata”, l’altra vitale ma troppo ingenua – sono difficili da conciliare e il film non riesce a farlo. Al punto che la storia d’amore, peraltro possibile, sembra forzata, poco naturale. Sbrigativo è anche il racconto dell’altro padre, “il nemico” Stanley Townsend, che gira il paese in lungo e in largo alla ricerca di suo figlio rapito. Ancora il doppio: due padri, Stanley Townsend e Saleh Bakri, l’uno biologico, l’altro spirituale, che cercano, senza compromettersi moralmente, di salvare due figli da un mondo ingiusto. Il film non ha tempo di sviluppare la pista, forse neanche la voglia. Implacabile affresco su ingiustizia e responsabilità morale, The Teacher è una cronaca palestinese fortissima nell’insieme e un po’ imprecisa nei dettagli. Lo squilibrio di prospettive è un tipico limite dell’opera prima, ma la strada è quella giusta. In più di un senso.
The Teacher: valutazione e conclusione

La forza di The Teacher è la regia senza fronzoli di Farah Nabulsi, la dedizione alla causa dell’autrice che visse due volte – casa inglese e radici palestinesi – e magari è da qui che viene lo sdoppiamento strutturale del film. I limiti, peraltro non insormontabili né in grado di scalfire la verità emotiva e politica di un film doloroso e potente, si riassumono nella difficoltà a incastrare i tanti piani della storia. The Teacher è al suo meglio quando racconta la Palestina attraverso gli occhi e i cuori dei palestinesi, più impreciso quando allarga il focus. Conciliare i due versanti è una sfida da affrontare e vincere nei prossimi film, per Farah Nabulsi. Per ora va ricordato il buono, e ce n’è molto: la scrupolosa ricostruzione d’ambiente, la dirittura morale, la limpida dignità, fragile e vera, nell’interpretazione di Saleh Bakri.