The Rover: recensione

Dopo il grande successo internazionale di Animal Kingdom (QUI la nostra recensione), arriva finalmente sui grandi schermi italiani la seconda opera del crepuscolare regista australiano David Michôd: The Rover.

Un film sicuramente diverso dal primo ma che non risparmia nemmeno questa volta l’aspra critica ad una società che sembra decisa a spingere progressivamente se stessa verso un baratro irreversibile, vittima dell’aver sfruttato indiscriminatamente le risorse planetarie senza rispetto né per l’ambiente né per le persone: il risultato è un mondo spoglio e spento, popolato da esistenze umane che assomigliano sempre più a zombies, menomati nel corpo e nello spirito e in permanente stato catatonico.

Se in Animal Kingdom, tuttavia, osserviamo un mondo che, seppur corrotto e privato delle più basilari regole morali, ancora lotta attivamente per la sopravvivenza, in The Rover sembra non esserci più spazio per la speranza: niente o quasi ha più importanza, le stesse istituzioni non puniscono più nemmeno gli omicidi e i superstiti si ammazzano tra di loro spinti da un sempre più flebile istinto di autoconservazione e privati di ogni progettualità personale.

Simbolo di questo stato di cose è Eric (Guy Pearce), un tenebroso ex contadino che, dopo aver perso tutto, si trova in viaggio attraverso un’Australia passiva e ormai depredata di tutte le ricchezza che le sue miniere hanno offerto a qualunque categoria di migrante, ridotto a cercare nel crimine l’ultima possibile forma di autosostentamento. Unica “ricchezza” rimasta a motivare l’uomo a tirare avanti, il misterioso contenuto della sua vecchia macchina, che, nel corso di una sosta in un sudicio bar,  viene però rubata da una banda di criminali reduci da una rapina andata male.

Inizia così la corsa all’ultimo obiettivo di Eric: recuperare la propria macchina e, soprattutto, riappropriarsi del suo contenuto, un’impresa inaspettatamente agevolata dall’incontro con il fratello mentalmente debole, abbandonato perché ferito, del capo della banda di rapinatori: il giovane Rey (Robert Pattinson), un ragazzo ingenuo e assolutamente bisognoso di una guida e di una protezione per sopravvivere in un mondo del genere.

The Rover recensione Pearce - Pattinson

Eric e Rey in una scena del film

Rey, sotto la minaccia di essere ucciso da Eric ma, anche e soprattutto, di essere nuovamente abbandonato, si proporrà di accompagnare l’uomo dal fratello e di aiutarlo a recuperare ciò che gli appartiene.

Michôd ci “illude” presentandoci un rapporto potenzialmente profondo fra questi due personaggi così diversi: Rey è completamente senza filtri, un ragazzo puro in questo mondo corrotto e malato, che agisce in modo criminale perché spinto dall’obbedienza e dalla fedeltà ma che in cuor suo conserva una profonda sensibilità , in pieno contrasto con l’asetticità di Eric che, tuttavia, ha visto e vissuto troppo per recuperare un briciolo di empatia e ritrovare la strada dell’umanità.

Il pessimismo cosmico del regista è evidente in ogni fotogramma e sottolineato dalla dimensione di “incubo” assunta dalla pellicola, in cui ogni dialogo risulta inefficace e quasi nessuna domanda trova risposta, se non alcune di quelle poste al povero Rey che, essendo troppo giovane per ricordare un mondo diverso da quello in cui si trova, conserva un barlume di genuina spontaneità.

Se la bravura e versatilità di Guy Pearce non è oggetto di discussione, vale la pena invece sottolineare la magistrale interpretazione di Robert Pattinson che, attraverso il contrasto tra lo sguardo limpido e il volto alterato da tic e manierismi, ci regala un personaggio al di sopra delle aspettative, sublimato dalla scena in cui canticchia “Don’t hate me ‘cause I’m beautiful”: quasi un’ ironica incursione registica rivolta a chi ancora si ostina a non apprezzarne le doti recitative…

The Rover Pattinson - Michod

David Michod dà indicazioni a Robert Pattinson durante le riprese del film

A tal proposito, centrale il ruolo della musica in The Rover, in cui silenzi assordanti e rumori inquietanti sono alternati ad incursioni pop totalmente fuori luogo e atte a sottolineare l’enorme e incolmabile divario tra la realtà perduta e lo stato attuale delle cose, in cui la spensieratezza e la leggerezza sono ormai un lontano, inafferrabile ricordo.

David Michôd centra così l’obiettivo e con questo road-movie dal sapore western continua efficacemente la sua esplorazione antropologica  negli abissi dell’umanità, realizzando una profonda riflessione su come l’egocentrismo di cui il mondo intero è vittima potrebbe portarci a breve ad una realtà stile The Rover e facendolo attraverso un film d’azione che tiene il fiato sospeso fino all’ultimo fotogramma, in cui lo spettatore scoprirà il contenuto della macchina di Eric e potrà così attribuire finalmente  il proprio significato a questa enigmatica pellicola. Da vedere.

Giudizio Cinematographe

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 3.7
Emozione - 4.2

4.1

Voto Finale