The Paris Opera: recensione del film di Jean–Stéphane Bron

La recensione di The Paris Opera, il film di Jean–Stéphane Bron al cinema solo il 13 e 14 novembre con I Wonder Pictures.

Il 2015 è stato un anno di sofferenza e difficoltà per la Francia, aperto a gennaio con l’attentato alla sede di Charlie Hebdo e concluso a novembre, con gli atti terroristici parigini che hanno avuto il loro culmine nell’ormai iconico Bataclan. Un anno complicato per ogni arteria del tessuto sociale, ma in particolar modo per quella culturale, letteralmente presa di mira. È proprio durante quest’annata che è stato girato The Paris Opera, il documentario diretto da Jean–Stéphane Bron, secondo appuntamento della rassegna I Wonder Stories, che ogni mese porta per due giorni al cinema dei film-evento altrimenti non distribuiti.

The Paris Opera: tanti dettagli da incastrare nel film di Jean–Stéphane Bron

The Paris Opera Manifesto di Julian Rosefeldt, con Cate Blanchett protagonista, aveva magnificamente aperto questa rassegna, consegnando agli spettatori un prodotto che non era un documentario ma nemmeno un film di finzione canonico, che era videoarte ma non lo era totalmente, e che per questo lasciava spiazzati e incantati. È su questo solco che The Paris Opera doveva incanalarsi, anche se stavolta la natura del prodotto era definita: un documentario sul dietro le quinte dell’Opéra national de Paris, uno dei più importanti teatri al mondo.

L’Opéra non è solo un teatro, ma un autentico centro di eccellenza, dove la cultura non viene unicamente mostrata, ma anche studiata e creata, visti i suoi centri di formazione per cantanti e ballerini, e il suo impegno nell’istruzione dei più piccoli.

Sbirciare dal buco della serratura per un anno questa enorme macchina che si mette in moto, significa quindi dover prestare attenzione a tantissimi aspetti, che in un film diventano linee narrative: quella amministrativa-gestionale di chi deve far coesistere l’arte con la contingenza dei conti e degli stipendi, quella dei rapporti con l’esterno, quella del balletto e dell’opera, ma anche quella dei tecnici delle luci, dei sarti e dei parrucchieri, di chi prontamente pulisce il palco dopo lo spettacolo. Centinaia di persone, un quadro affollato ma unito verso un solo fronte, l’ottima riuscita dello spettacolo. A tutto questo si aggiunge la già citata complicazione: fare cultura in Francia nel 2015 ha significato anche sentirsi parte di una lotta.

The Paris Opera fa fatica ad andare oltre la superficie dell’arte

The paris opera Probabilmente lo svizzero Jean –Stéphane Bron, quando ha pensato a questo suo progetto, voleva mostrare le famigerate sangue, sudore e lacrime che si celano dietro un così algido esempio di perfezione come l’Opéra, le problematiche e le incertezze, i litigi e i pianti che svaniscono nel magico momento in cui si alza il sipario.

Il problema principale di The Paris Opera deriva proprio dal mancato raggiungimento di questo obiettivo, si avverte lo stress del direttore nel dover far fronte a scioperi, bizze degli artisti e protocolli pedanti, si avverte la sofferenza e la solitudine della prima ballerina nella preparazione, eppure non si entra mai nel vivo. Che gestire l’Opera di Parigi sia stressante e fare la prima ballerina fisicamente distruttivo lo si può intuire, e il film rimane proprio su questo strato di intuitiva superficialità, pur avendo la possibilità di penetrare questa crosta.
Gli strumenti per creare un documentario ricco di pathos c’erano tutti, ma non sono stati ben usati, anche perché diluiti in una durata forse eccessiva (110 minuti) che, per la mancanza di dinamicità, si sentono tutti.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Sonoro - 3.5
Emozione - 1

2.2