The Old Oak: recensione del film di Ken Loach

Il nuovo lavoro del regista inglese è una storia di speranza e tolleranza che unisce due comunità diverse in un paesino del nord – est dell’Inghilterra. Un film necessario.

La “vecchia quercia” Ken Loach torna al cinema a 87 anni dirigendo un nuovo gioiellino, presentato in concorso allo scorso Festival di Cannes: The Old Oak, dal 16 novembre in sala distribuito da Lucky Red.
The Old Oak è un posto speciale. Non è solo l’ultimo pub rimasto in un paesino del nord – est dell’Inghilterra, è anche l’unico luogo pubblico in cui la gente può incontrarsi in quella che un tempo era una fiorente località mineraria e che oggi attraversa momenti molto duri, dopo 30 anni di ininterrotto declino. Il proprietario del pub, TJ Ballantyne (Dave Turner) riesce a mantenerlo a stento, e la situazione si fa ancora più precaria quando The Old Oak diventa un luogo frequentato dai rifugiati siriani trasferiti nel paesino portando il malcontento tra gli abitanti più intolleranti. Stabilendo un’improbabile amicizia, TJ si lega ad una giovane siriana, Yara (Ebla Mari), appassionata di fotografia e con una storia difficile alle spalle.

The Old Oak – L’unione fa la forza

The Old Oak, cinematographe.it

Le storie di Ken Loach sono sempre capaci di toccare le corde più profonde dell’anima, e anche stavolta con The Old Oak non è da meno. Intolleranza, miseria, razzismo, solitudine, lutti profondi e difficoltà economiche, l’unico antidoto sembra solo l’amicizia, l’unione per farsi forza e sostenersi a vicenda nei momenti più difficili. Ma in una società in cui gli ultimi rimangono ultimi, ignorati dallo Stato e abbandonati a loro stessi la rabbia sociale non può far altro che scatenarsi contro il vicino di casa che è, per esempio, di un’etnia diversa dalla nostra, che pensiamo voglia rubarci il lavoro o farci del male, che crediamo più fortunato di noi. “Cerchiamo sempre un capro espiatorio quando le cose vanno male”, dice Yara, tra i siriani giunti in paese e non voluti da una parte della comunità locale. L’altra parte, invece, è costituita da persone di buon cuore come TJ Ballantyne che fanno volontariato e si prodigano sempre per gli altri nonostante le difficoltà quotidiane che deve affrontare. La sua amicizia con Yara stimola la parte della comunità che ancora crede nella fratellanza e nell’aiuto reciproco mettendo in piedi una piccola mensa gratuita tre giorni alla settimana proprio nel pub di TJ per aiutare chi spesso non può permettersi un pasto caldo, che sia un immigrato o persone del posto, perché “quando mangi insieme resti insieme”.

Ken Loach così, con il suo modo semplice, onesto, emozionante e senza retorica racconta una storia di speranza e di bellezza che nasce anche quando il futuro sembra incerto, che sia per un rifugiato politico o per il proprietario di un pub. Un equilibrio che il regista di Io, Daniel Blake e Sorry We Missed you mantiene per tutto il film, mostrando anche le “ragioni” degli inglesi  e non solo quella dei siriani, senza calcare troppo la mano sulle violenze che spesso queste situazioni portano, ma concentrandosi sulla fiducia che ancora conserva nell’uomo e nella sua bontà d’animo, anche in periodi come questi, nei quali guerre, morte e atrocità indescrivibili avvelenano il mondo.

The Old Oak: valutazione e conclusione

The Old Oak, cinematographe.it

Un finale commovente e significativo per un film potente e delicato nello stesso tempo che spinge a interrogarsi sull’insensatezza di certi conflitti ideologici che nascono da ignoranza e povertà non solo di spirito, dalla cecità che non ci fa guardare all’altro come a una risorsa ma come a un nemico, dalla rabbia che guasta anche la persona più onesta. Un film necessario, in questo momento più che mai.

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Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4