The Mask – Da zero a mito: recensione del film con Jim Carrey

The Mask - Da zero a mito di Chuck Russell è uno dei film cult che lanciarono Jim Carrey, protagonista di una folle comicità cartoonesca giocata sullo sdoppiamento interiore.

Il 1994 è stato per Jim Carrey l’anno decisivo della svolta. Ventiquattro anni fa uscirono infatti Ace Ventura l’acchiappanimali di Tom Shadyac, Scemo e più scemo dei fratelli Farrelly e soprattutto The Mask – Da zero a mito di Chuck Russell; tre film diventati di culto, i cui tormentoni sono stati ripetuti mille volte non solo dagli studenti delle scuole medie e che consacrarono l’attore d’origine canadese come protagonista principale della nuova comicità demenziale.

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In questo trittico The Mask – ispirato all’omonimo personaggio dei fumetti creato nel 1989 da John Arcudi e Doug Mahnke – è particolarmente significativo, in quanto emergono due delle caratteristiche principali dello stile comico di Jim Carrey: la buffoneria cartoonesca e il fatto che molti suoi film, quelli comici come quelli più seri, siano giocati sul doppio e su una personalità schizofrenica e interiormente scissa.

Stanley Ipkiss (Jim Carrey) è un impiegato di banca timido, insicuro e introverso, incapace di reagire ai piccoli grandi soprusi di cui è vittima, così come è incapace di rapportarsi come vorrebbe con l’altro sesso, a partire dalla bionda mozzafiato e oggetto del desiderio Tyna (Cameron Diaz). Vive in un appartamento con il suo fido jack russell Milo e passa le serate rivedendo i cartoons di Tex Avery. Una sera, dopo l’ennesimo fallimento dovuto al mix letale di sfortuna e insicurezza, trova in riva al fiume una misteriosa maschera di legno. Indossandola, si trasforma in The Mask, un essere dalla faccia verde dotato di poteri soprannaturali e completamente folle, caratterialmente l’opposto dell’impiegato protagonista. I poteri della maschera attraggono le mire di un boss mafioso e creano più di un equivoco con la polizia, ma allo stesso tempo danno al protagonista, come in un divertente e paradossale processo catartico, la forza di farsi valere, smetterla di sottovalutarsi e tirare fuori il meglio di sé.

The Mask – Da zero a mito: una comicità folle e cartoonesca

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La comicità di The Mask – Da zero a mito è innegabilmente demenziale, aggettivo che del resto definisce l’intera filmografia comica di Carrey. È anche però una definizione che calza più a pennello per altri suoi film, a partire da Scemo e più scemo e Io, me e Irene. In The Mask è altrettanto evidente, se non addirittura più forte, l’influenza della comicità di un certo tipo di animazione breve statunitense; quella dei Looney Tunes e soprattutto di Tex Avery, più volte omaggiato ed esplicitamente citato – per esempio quando The Mask, esaltato dall’esibizione canora di Tyna, riproduce gli ululati scatenati del celebre Lupo Wolfie, oppure più sottilmente quando compare, nella sequenza dell’Oscar, la silhoutte del pubblico, elemento ricorrente in Avery.

È una comicità quindi violenta, dura, folle, molto corporale e che ribalta le regole della logica e le leggi della fisica. In questo modo diventa così possibile ingoiare una bomba e avere come unica conseguenza un ruttino, che una sveglia prenda vita o che ci si sfracelli sull’asfalto diventando sottili come una fetta di formaggio ma in grado di far sapere alla mamma di essere dimagriti. Nel film di Russell, disinteressato a qualsiasi chiave di lettura o rielaborazione che vada oltre il divertimento più immediato, manca solo il politicamente scorretto sottile e beffardo che caratterizzava molti prodotti di quel tipo d’animazione, ma la cosa, dati gli obiettivi del film, è solo fino ad un certo punto un limite.

The Mask – Da zero a mito e il doppio nel cinema di Jim Carrey

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Questa atmosfera cartoonesca di fondo riecheggerà anche nei film più dichiaratamente demenziali di Jim Carrey. Un’altra caratteristica che troviamo in The mask – Da zero a mito e che caratterizzerà buona parte della carriera dall’attore è il giocare con uno sdoppiamento interiore e con una sorta di schizofrenia più o meno latente. Questa è la miccia che crea il contrasto decisivo nel far detonare l gag e l’effetto comico e che spesso assume anche un effetto catartico.

Come in un Dottor Jekyll e Mr Hyde comico, lo spumeggiante The Mask è esattamente l’opposto del placido Ipkiss, con il secondo che diventa contemporaneamente vittima e benaficiario del primo. Una scissione molto simile capita per esempio al cinico avvocato in crisi protagonista di Bugiardo e Bugiardo, mentre in Io, me e Irene la schizofrenia diventa esplicita. L’incontro/scontro tra il doppio interiore e la scissione tra due opposti del resto tornano anche in molti film “seri” interpretati da Carrey. Pensiamo al contrasto tra realtà e finzione, tra persona e personaggio, di The Truman Show di Peter Weir o alla malinconica collisione tra le scelte della vita e il potere dei ricordi e dei sentimenti di Se mi lasci ti cancello di Gondry; oppure a The man of the moon di Milos Forman dove Carrey significativamente impersona Charlie Kaufman, comico che della schizofrenia e della confusione tra vero e falso ha fatto i vessilli della sua poetica.

The Mask quindi è in qualche modo il primo film in cui Jim Carrey interpreta un personaggio scisso, diviso interiormente e sdoppiato, elemento rafforzato dall’incredibile mimica dell’attore e dalla sua “faccia di gomma” capace di tradurre ed estremizzare nel comico qualunque sensazione, reazione improvvisa e stato d’animo.

The Mask – Da zero a mito, un film “spumeggiante!”

Ciò che però più conta è che The Mask – Da zero a mito è esilarante, anche se forse non è né il migliore né in assoluto il più divertente della carriera di Carrey, nonostante, anche per motivi cronologici, il suo stato di cult sia meritato. Che la bravura e l’istrionismo del protagonista siano gli elementi fondamentali e decisivi è ovvio, ma non sono da ignorare la sceneggiatura che scorre nella sua semplicità al servizio, ma senza farsi troppo travolgere, dell’attore e soprattutto gli effetti speciali, nominati agli Oscar, di George Zamora che esaltano l’atmosfera cartoonesca di fondo. Inevitabile poi che, pur prevalendo la comicità fisica, rimangano intatte nella memoria alcune battute e tormentoni indelebili: dal proverbiale “spumeggiante!” all’“uh-ah-ih! ih-ah-uh!” della finta morte fino al “Mamma, guarda! Sono dimagrito!”.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.1