Roma FF16 – The Justice of Bunny King: recensione del film di Gaysorn Thavat

La pellicola, presentata in parecchi festival internazionali, è tra i film in concorso ad Alice nella città 2021. L'opera pone l'accento su tante tematiche, con una sceneggiatura ironicamente drammatica che spesso supera il confine del razionale.

The Justice of Bunny King è il lungometraggio diretto da Gaysorn Thavat (Fresh Eggs, The Gulf) con una sceneggiatura redatta dallo stesso autore in compagnia di Sophie Henderson (Baby Done, Grow Joe) e Gregory King (A Song of Good, James & Isey). L’opera è stata presentata in parecchi Festival internazionali, vincendo al ReFrame Film Festival un premio per la narrazione e racconta la storia di una lavavetri, Bunny (Essie Davis), che fa di tutto per vivere e dare il meglio ai propri figli, allontanati dalla madre dopo la sua permanenza in carcere per l’omicidio del marito. Una trama che fornisce tanti spunti di riflessione e colpisce per la sua schiettezza e modo di raccontare i fatti che vive la protagonista.

The Justice of Bunny King, in concorso ad Alice nella città, rassegna cinematografica dedicata ai giovani nell’ambito della 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma., non ha ancora una data d’uscita italiana e speriamo che arrivi anche nelle nostre sale, data la natura indipendente e particolare del progetto in sé.

The Justice of Bunny King: una storia velata di volgarità e umorismo nero

The Justice of Bunny KingThe Justice of Bunny King si apre con la protagonista, Bunny (Essie Davis) che è impegnata nel suo lavoro, la lavavetri, sulle note di What’s Up delle 4 Non Blondes, che fornisce un tocco dolce e malinconico alla storia che il pubblico sta per vedere e sentire sulla propria pelle. La donna vive per i suoi figli ed è gentilmente ospitata a casa della sorella, che un giorno le dà anche la possibilità, eventualmente, di abitare all’interno del garage così da ospitare anche i nipoti, affidati ai servizi sociali dopo che Bunny ha ucciso il marito. Tutto questo però si rompe a causa di un evento traumatico al quale assiste la protagonista e che lede fortemente i legami con la parentela, che la caccia di casa. La donna è ora costretta a reinventarsi, facendo di tutto per festeggiare il compleanno della sua piccola bambina e trovare una dimora felice in cui vivere tutti insieme.

Un racconto che, dall’inizio alla fine, è estremamente intenso, carico di sentimenti e, soprattutto, per nulla edulcorato o artificioso. La trama è cruda, dannatamente attuale e scritta in modo intelligente, riuscendo da un lato a presentare il dramma di Bunny con tanta umanità e tatto, dall’altro ad utilizzare perfettamente l’umorismo. Più che stemperare la tensione presente nel lungometraggio, tale strumento non fa che esternare ancora di più la condizione critica in cui verte la protagonista, che ride beffardamente e sarcasticamente gli eventi avversi della vita. Un sorriso liberatorio, quasi catartico, che è una cifra importante della chiave di lettura della pellicola, ma che è al contempo un elemento originalissimo che rende la pellicola efficace.

La scrittura di The Justice of Bunny King, inoltre, si avvale di un registro linguistico volutamente volgare e asciutto, che spesso e volentieri rivela l’animo interiore dei personaggi. Le parolacce all’interno del film abbondano, così come sono copiosi gli atteggiamenti “anarchici” e ribelli della protagonista, che, consapevole delle sue colpe, si schiera fortemente contro un sistema che lede i diritti a coloro che sono in condizioni più fragili, sia a livello economico che sociale. Contrariamente al personaggio principale, molte delle figure che la circondano usano una lingua più formale, burocratizzata, che rappresenta perfettamente il modo di pensare delle autorità e degli organi che soffocano l’eccessiva ricerca della libertà di Bunny.

Fiore all’occhiello dell’opera sono gli interpreti, in particolar modo Essie Davis e Thomasin McKenzie, rispettivamente nei panni di Bunny e della nipote Tonyah. Il legame tra i due personaggi all’interno della pellicola è realmente importante e carico di emozione, con un’evoluzione netta al termine del film che vede, per certi versi, la coppia prendere strade decise anche se autodistruttive. Tale unione è perfettamente portata in scena dal talento delle due attrici che, oltre a lavorare magistralmente insieme, hanno costruito delle figure che anche a livello individuale brillano di realismo, dramma e intensità, dando la possibilità al pubblico di vivere la storia presentata con ancora più trasporto e sentimento.

The Justice of Bunny King: il superamento del confine razionale

The Justice of Bunny King

Il lungometraggio, proprio perché carico di una sceneggiatura così tanto significativa, fornisce tantissime tematiche e spunti di riflessione al pubblico. Si comincia tenendo alta l’attenzione sulla difficoltà di essere madre in situazioni disagianti, arrivando poi a descrivere cosa realmente significa tentare una riabilitazione sociale ed economica dopo essere stati a lungo in carcere. Ultimo, ma non per importanza, anche un discorso legato alle violenze sui minori, sia di carattere fisico che sessuale. Insomma, un bel compendio di elementi, che però, a livello registico, sono affrontati in modo piuttosto bizzarro ed originale.

La macchina da presa, coordinata da Gaysorn Thavat, usa una cifra surreale e irreale per veicolare sul grande schermo determinate scene della pellicola. Tale approccio, ovviamente, è stato perseguito con il fine di estremizzare ed acutizzare il dramma della protagonista e non solo (sia nel bene che nel male) per sensibilizzare il pubblico ancora di più sulle tematiche sopracitate (e questo è stato fatto anche in sede di sceneggiatura). Perfetto esempio di questa modalità rappresentativa è la scena del compleanno nell’ufficio, che si regge perfettamente sia grazie alle straordinarie interpretazioni delle attrici, sia per il messaggio che vuole portare, anche se assurdo e fuori dall’ordinario in fatto di costruzione narrativa e registica.

Oltre a ciò, la regia di The Justice of Bunny King è mirata, in particolare, alle interazioni tra i vari personaggi del racconto, concentrandosi nel dettaglio sulle emozioni che escono fuori, a volte in modo brutale e immediato e che suggellano più di tutte il forte messaggio di critica che l’autrice dedica e riserva agli spettatori. Particolarmente interessante è che anche l’utilizzo della fotografia che si fa forza di tonalità grigiastre e spente che esprimono perfettamente la condizione disagiante presentata dalla pellicola. I rari momenti in cui i colori accendono, comunque, non vedono mai una brillantezza o lucentezza particolare, tranne un piccolo caso nel finale del film, dove un tramonto accentuato assume un valore simbolico nella storyline della giovane Tonyah, finalmente libera da condizioni esterne.

The Justice of Bunny King è un film davvero potente ed emozionante che riesce, con una sceneggiatura efficace e molto brillante e una regia volutamente esagerata e irreale, a portare avanti delle tematiche mature, attuali e molto varie. La scrittura, grazie all’utilizzo dell’umorismo nero e ad uno studio preciso e puntuale sul linguaggio dei personaggi, porta in scena una storia intensissima, mentre la regia è sempre puntata sui primari e comprimari e le relazioni che hanno tra loro. A coadiuvare questo ottimo progetto, un cast strepitoso che esprime al meglio la portata contenutistica del lungometraggio e il vagone emozionale conseguente.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4