The Hunt: recensione del film con Betty Gilpin

The Hunt è l’ennesimo buon film prodotto da Blumhouse. Forse uno dei migliori, perché è difficile parlarne.

The Hunt è il terzo film prodotto da Blumhouse di questo 2020 in cui il cinema, di fatto, non c’è. Frequentare la sala cinematografica è al momento un sogno e una speranza, ma la factory del vulcanico Jason Blum non sembra preoccuparsene più di tanto.

Grazie alla politica aziendale, che prevede dei budget molto contenuti per la realizzazione dei singoli progetti, e l’ottimo incasso prima del lock down di L’uomo invisibile, la crisi inevitabile che tutto il comparto cinematografico dovrà affrontare non dovrebbe toccare questa lungimirante produzione. Lungimirante e intelligente, perché bravissima a scegliere storie che, attraverso i generi, raccontano le storture della contemporaneità. Niente di trascendentale, ma in un panorama che predilige sempre di più l’estetica al contenuto, la scelta non si può che elogiare.

The Hunt parte da lontano

Un gruppo di uomini e donne si risveglia in un bosco, legati mani e piedi e imbavagliati. Dopo pochi minuti scopriranno l’atroce verità: sono prede di una caccia mortale. Tra loro, Crystal non vuole solo salvarsi la vita: vuole anche conoscere i suoi carnefici.

Questo il plot, in sintesi, di The Hunt, film scritto da Damon Lindelof con Nick Cuse, giovane sceneggiatore scoperto proprio da uno dei creatori di Lost e di The Leftovers, serie questa dove si sono conosciuti. Un talento in ascesa Cuse, che ha firmato anche due puntate di Watchmen, sempre sotto l’occhio attento di Lindelof.

Insieme, partendo da un classico come The Most Dangerous Game di Ernest Shoedsack, tratto dall’omonimo romanzo di Richard Connell. Il perché di questa battuta di caccia lo si scoprirà molto avanti, e sarà un vero colpo di scena, che ovviamente non va svelato. Così come almeno un paio di altri passaggi di The Hunt è meglio che restino nascosti, per non rovinare la visione.

Ciò non impedisce però di elogiare un film, piccolo ma solo all’apparenza, che ha tante qualità. L’ottima scrittura, intanto, e la presenza di Damon Lindelof non è necessariamente una sicurezza, dato che Cowboy e Alieni e Prometheus non sono esattamente dei capolavori, e Tomorrowland un disastro che travolse persino un genio come Walter Murch (il montatore di Apocalypse Now). Tutte esperienze di cui Lindelof ha fatto evidentemente tesoro e che lo hanno molto aiutato a costruire il meccanismo, davvero perfetto, di The Hunt.

Quella che sembra una ennesima variazione sul tema della lotta di classe, si trasforma almeno un paio di volte, tanto che qualche fugacissimo dubbio sull’effettivo orrore della situazione fa capolino nella parte più oscura e remota del cervello. O forse dell’anima, fate voi. Tant’è che il viaggio di Crystal non è una semplice progressione videoludica, ma un compendio dell’umana ignominia contemporanea, fino alla sconvolgente rivelazione che ha portato alla letale battuta di caccia.

The Hunt: il film di Craig Zobel non è un horror, e neanche un action

The Hunt è una commedia grottesca. Viene da pensare che la coppia di autori si sia ricordata dell’esistenza di Bunuel, facendo loro un complimento che probabilmente non meritano. Eppure, man mano che la protagonista avanza nella sua ricerca della verità, i sentimenti contrastanti vengono sopraffatti da un sorriso compiaciuto che accompagna i caduti, prede o cacciatori non importa.

Ricchezza contro ignoranza, povertà contro arroganza, filetto contro pollo fritto: è sempre lotta di classe. Ed è curioso che il cinema si sia ultimamente tanto preoccupato di questo tema, a lungo dimenticato, dalla Corea del Sud alla Spagna, e adesso nella trumpiana America.

The Hunt è un film volutamente scomodo e furbo, come dimostra anche la protagonista femminile, donna guerriera come il Me Too richiede, in realtà testosteronica come una star reaganiana degli anni Ottanta. Krystel non ha a cuore la sua condizione di donna, vuole solo nuclearizzare e decollare, citando un grande classico. Senza tradire alcuna emozione, e Betty Gilpin, direttamente dal ring di GLOW, è davvero fantastica nei panni di questa macchina da guerra con la quarta di reggiseno, una Lara Croft “white trash”. Attorno a lei, carne da macello, e anche se ormai niente più resta non svelato grazie alla Rete, il segreto di pulcinella del finale si può anche non svelare. Basti dire che è molto gustoso.

Diretto con diligenza, ritmo e tempi comici da Craig Zobel, The Hunt ha anche il pregio di una durata assai canonica, novanta minuti che scorrono velocissimi, lasciando alla fine una insana soddisfazione. Disturbante, e piacevole. Molto.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.6