TFF41 – The Holdovers – Lezioni di vita: recensione del film di Alexander Payne

Alexander Payne ritorna con The Holdovers - Lezioni di vita, film in bilico tra dramma e commedia e molto attento a ricreare atmosfere e stili del cinema americano dei primi anni '70. Con Paul Giamatti, Da'Vine Joy Randolph e Dominic Sessa.

È tornato Alexander Payne. È tornato con The Holdovers – Lezioni di vita, in sala il 18 gennaio 2024 per Universal Pictures Italia dopo il passaggio Fuori Concorso al 41mo Torino Film Festival, a cinque anni dall’ambiziosa e insoddisfacente metafora sentimentale-fantascientifica di Downsizing – Vivere alla grande. È tornato, Alexander Payne, con un cinema umanista in bilico tra dramma e commedia, che l’Academy non riesce mai a prendere per il verso giusto. Ha vinto due Oscar, ma sempre per la miglior sceneggiatura. La messa in scena, le qualità intrinsecamente cinematografiche della sua opera, sistematicamente snobbate ed è un peccato. Lo hanno accusato, non sempre a torto, di guardare con malcelato snobismo i suoi personaggi. Se glielo raccontate adesso, si fa una grossa risata.

The Holdovers; cinematographe.it

Eventualmente, con The Holdovers – Lezioni di vita, si potrebbe imputargli il contrario, che li ama troppo. È impossibile resistere allo charme stropicciato, imperfetto e decisamente adorabile di Paul Giamatti, Da’Vine Joy Randolph e l’esordiente Dominic Sessa. Ambientato in un’immaginaria cittadina del New England all’inizio degli anni ’70, ha le qualità cromatiche, la messa in scena, la filosofia e il sound di quel mondo lì. Rigorosa ricostruzione del sentimento di un’epoca, con qualche anacronismo deliberato e un respiro, un’esattezza della confezione, incredibile. Forse solo Paul Thomas Anderson, con il suo Vizio di forma, si era spinto più in là.

The Holdovers – Lezioni di vita: tre prigionieri del Natale

The Holdovers - Lezioni di vita; cinematographe.it

Ha il passo, le pause e le improvvise accelerazioni del mondo reale, The Holdovers – Lezioni di vita. Non c’è modo di separare le lacrime dalle risate. Tutto amalgamato in maniera complicata e ambigua, proprio come? Esatto, la vita vera. Anche se la struttura, l’implacabile meccanicità della narrazione, i caratteri, ogni cosa, profuma di finzione ben orchestrata. L’essenza del buon cinema è un paradosso interessante: una bugia spudorata per arrivare al massimo grado di verità. Il film prende in prestito un modo di fare film che in America andava molto nei primi anni ’70, di cui non si può e non si deve fare a meno. Un’arte insofferente verso molte fonti d’autorità.

Paul Hunham (Paul Giamatti) insegna Civiltà Antiche in un collegio per giovani bianchi ricchi in una fittizia città del New England che si chiama Barton. È il dicembre del 1970. Paul non va in vacanza a Natale perché con un trucchetto – e la complicità dell’odioso preside – un collega lo costringe a fare da baby sitter ai ragazzi che per un motivo o per un altro non tornano a casa. A Barton è rimasta anche una delle cuoche, Mary (Da’Vine Joy Randolph), che ha appena perso il suo unico figlio in Vietnam e non ha voglia di festeggiare. I ragazzi di Barton sono troppo giovani e comunque troppo ricchi per andarci. La convivenza forzata è un problema. Riscaldamento attivo ma solo in infermeria, avanzi in frigo e repliche in tv. La civiltà occidentale si prende una pausa di due settimane, sfortunato chi se ne accorge.

Gran parte dei ragazzi riesce ad andarsene sull’elicottero del padre di uno di loro. Non Angus Tilly (Dominic Sessa). Angus è stato “abbandonato” dalla madre. È anarchico, instabile e fatica a legare con il prof. Hunham, con cui bisticcia anche a lezione. Paul è severissimo, non ha vita sociale, tiene nella giusta considerazione solo i suoi libri e l’eredità di una Storia apparentemente lontana, in realtà più vicina di quanto si pensi. Il passato può aiutarci a capire il presente, perché è animato dalle stesse emozioni; è Alexander Payne che parla, per mezzo del protagonista, giustificando l’ambientazione d’epoca. Mary, Paul e Angus finiscono inesorabilmente per avvicinarsi perché capiscono che, oltre le differenze, c’è un bagaglio di emozioni, bisogni e perdite dolorose in comune.

Il XXI secolo nella Nuova Hollywood

The Holdovers - Lezioni di vita cinematographe.it

L’approdo cinefilo di Alexander Payne è la Nuova Hollywood più pura e intransigente, quella dei primi anni ’70. The Holdovers – Lezioni di vita guarda a quel cinema lì, a quell’ideologia, mantenendo un profilo di poesia malinconica, dolcemente arrabbiata, che si fa beffe dell’autorità senza attaccarla apertamente. A suo modo è anche un film di Natale, deformato e irriverente. Pieno di solitudine e malinconia. La solitudine è un elemento importante. È la solitudine di un magnifico Paul Giamatti, irascibile, misantropo e umanissimo, il venir meno improvviso di questa solitudine, che porta il film sui binari giusti. Paul, Mary e Angus vengono da posti diversi, hanno storie e caratteri diversi. Ma tutti e tre soli, spaventati e anche un po’ arrabbiati. La parentesi natalizia e la relativa evasione dalla routine ne fa una famiglia allargata. Senza calore e contatto la vita non ha molto senso.

The Holdovers – Lezioni di vita parla di amore, solitudine, perdita, libertà e indipendenza. Prende in prestito la forma e il sentimento di un cinema americano che non c’è più ma che continua a suggestionarci. Su tutti, il cinema formalmente impeccabile e spiritualmente anarchico di Hal Ashby, che Alexander Payne rievoca con grande passione. In particolare, omaggiando l’on the road sui generis de L’ultima corvé (1973) e resuscitando temi e atmosfere di Harold e Maude (1971). Il cult supremo di Ashby, anche più del leggendario Oltre il giardino (1979). Era la storia d’amore, oltraggio supremo per i benpensanti, tra un ragazzo che pensa solo alla morte e un’energica ottantenne, impreziosita dalla colonna sonora di Cat Stevens, che infatti ritorna anche qui.

Del capolavoro di Ashby The Holdovers – Lezioni di vita ha la poesia malinconica, la ribellione creativa e umoristica, il culto dei simpatici perdenti. L’ambientazione d’epoca non è solo celebrazione cinefila, ma una cornice ideale: il passato e la lontananza regalano quel distacco che ci aiuta a capire meglio il presente. The Holdovers – Lezioni di vita è il racconto di formazione di un uomo di mezza età, convenzionale e anomalo a un tempo. Il cinema di Alexander Payne è un’arte umanista e intelligente. Anche quando il passato – cinematografico e non – è la sua terra promessa.

The Holdovers – Lezioni di vita: valutazione e conclusione

È un film di Alexander Payne e quindi: equilibrio tra dramma e commedia, eleganza nella composizione dell’immagine che non sfocia mai nel pretenzioso, grande attenzione al dettaglio narrativo e psicologico. Il meccanismo narrativo è implacabile: succede tutto quando e come è lecito aspettarselo, ma c’è vita e verità nelle sfide dei personaggi.

È un bel trio: oltre al sempre magnifico Giamatti, molto interessanti e bravi Da’Vine Joy Randolph e Dominic Sessa. Volti, fisicità e caratteri lontani dagli stereotipi, in sintonia con l’estetica dei ‘70. Il cinema di Alexander Payne, The Holdovers – Lezioni di vita più nel dettaglio, è anche questo: lavoro su corpi sfatti, imperfetti ma vibranti di passione e umanità, per arrivare a una verità integra, non compromessa. Senza dimenticare il piacere di un buon intrattenimento.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4