The Beekeeper: recensione del film con Jason Statham

Jason Statham è un apicoltore molto speciale in The Beekeeper, action adrenalinico incentrato su una vendetta implacabile. Con Jeremy Irons e Josh Hutcherson, dall'11 gennaio 2024 in sala.

Nella vita chissà, al cinema la regola è d’oro: non fate arrabbiare Jason Statham. Lo sa bene The Beekeeper, regia di David Ayer (Suicide Squad) e nelle sale italiane l’11 gennaio 2024 per 01 Distribution, che si serve della fisicità autorevole e dell’espressività glaciale dell’attore inglese, icona dell’action contemporaneo, per stuzzicare lo spettatore con una storia di vendetta violenta e molto divertente. Lo sfondo è un’America senza regole, attraversata da poteri occulti che agiscono oltre il perimetro della legalità con scopi e finalità inconciliabili: il trionfo della giustizia, nel caso del protagonista. Una soddisfazione più avida ed egoista, per i cattivi. Completano il cast Jeremy Irons, Josh Hutcherson, Emmy Raver-Lampman, Jemma Redgrave, Phylicia Rashad e Bobby Naderi.

The Beekeeper: un apicoltore dalle (molto) insolite abilità

The Beekeeper cinematographe.it recensione

Si chiama Adam Clay (Jason Statham) e fa l’apicoltore. Sa tutto di api, arnie e alveari. L’alveare è una metafora potente che ci aiuta a capire The Beekeeper. Adam ha preso in prestito il fienile di una simpatica signora un po’ avanti con gli anni, Eloise (Phylicia Rashad). Per sdebitarsi della sua gentilezza le fa dono di un barattolo del suo buonissimo miele. Glielo porta a casa la sera, dopo una dura giornata di lavoro. La trova morta, suicida. Eloise ha perso i suoi risparmi a causa di una truffa online (il termine tecnico è phishing) e, sopraffatta dalla vergogna e dal senso di colpa, ha deciso di farla finita. Adam in casa di Eloise, di sera, tutto solo, accanto al cadavere: per la polizia è il principale sospettato. Della sua colpevolezza all’inizio è convinta anche Verona (Emmy Raver-Lampman), la figlia di Eloise, agente FBI. Poi capisce.

The Beekeeper svela i suoi segreti una carta alla volta. Verona, con il collega Matt Wiley (Bobby Naderi), da tempo prova a incastrare i vertici di una losca società, la United Data Group, presumibilmente un call center specializzato in frodi – è così, in effetti – senza esito. Ora è coinvolta in prima persona nell’indagine, perché la United ha giocato un ruolo nel suicidio della madre. Adam la mette sulla strada giusta; è sconvolto dalla morte di Eloise perché era l’unica persona capace di trattarlo con rispetto e gentilezza. Per questo raggiunge la sede della United e la rade al suolo, in senso letterale e tutto da solo. Le abilità di Adam non si addicono ad un apicoltore. A un Beekeeper, sì.

A rivelarci l’identità del protagonista ci pensa il signor Westwyld (Jeremy Irons), ex direttore della CIA riciclato babysitter del giovane Derek Danforth (Josh Hutcherson), milionario senza etica e sopra le righe, creatore e gestore dei call center truffaldini. Westwyld suda freddo quando capisce che Adam è un Beekeeper. Si tratta di un corpo speciale di agenti, segreto perfino per molti pezzi grossi del controspionaggio, che agisce fuori dalla legge, nell’ombra più impenetrabile, per proteggere l’integrità dell’alveare (il sistema sociale) dalle interferenze dei cattivi. Eloise era un membro stimato dell’alveare americano, vulnerabile per via dell’età. Vendicare Eloise per riportare un pizzico di pace nell’alveare americano è l’obiettivo di Adam, che si muove parallelamente all’indagine ufficiale di Verona. La sua vendetta punta al vertice, all’ape regina. Derek ha una madre importante (Jemma Redgrave).

Azione, violenza e senso dell’umorismo per un film che cerca un intrattenimento adrenalinico e scanzonato

The Beekeeper cinematographe.it recensione

Il volto di Jason Statham è una maschera d’impassibilità ostinata che funziona in due direzioni, entrambe decisive per la buona riuscita di The Beekeeper. Corrobora il prestigio e le credenziali action del protagonista, delineandone la personalità in una direzione di estrema competenza e minaccia: Adam Clay è l’una e l’altra cosa. Insieme, bilancia la seriosità dell’operazione – quel retrogusto populista e vagamente sentimentale che attraversa la sceneggiatura di Kurt Wimmer – con un’attitudine punk, autoironica e scanzonata. Il film cerca in ogni modo di non prendersi troppo sul serio perché sa che è l’unico modo per farcela.

La lezione di Hitchcock è sempre valida. Chi meglio di un ladro per dare la caccia a un ladro? Chi può capire, anticipare e all’occorrenza neutralizzare le mosse di un professionista del furto meglio di uno del mestiere? Tornando a The Beekeeper, se la resa artistica è (parecchio) inferiore la filosofia è la stessa: per frenare l’avidità senza regole di chi si crede più forte della legge e della morale – Josh Hutcherson, elettrico e sopra le righe – occorre un potere analogamente opaco e ugualmente fuori dalla legge. Diversamente dal primo, orientato al bene comune. Il potere del Beekeeper. Quello che David Ayer evita di fare è scavare più in profondità. Potrebbe alludere alla tossica ossessione di Adam Clay per l’omicidio. O parlarci dei limiti di un senso di giustizia che si crea e si limita autonomamente.

Non lo fa, David Ayer, perché la sua preoccupazione è cucinare per il pubblico una fantasia action tesa e violentissima, orientata a un disimpegno divertito e adrenalinico. In controluce, The Beekeeper allude alla crisi di fiducia dell’America contemporanea, alla rapacità di un capitalismo lasciato solo con se stesso. La logica dell’alveare funziona per la brevità concisa e spietata della sua esposizione. Inutile chiedere alla storia di essere qualcosa di diverso da un’action divertente – lo è, molto – e vendicativo. Quello che si può rimproverare al film è di non aver avuto fiducia nelle sue possibilità narrative e spettacolari. Poteva, The Beekeeper, essere più autoironico, più violento, più ardito nell’azione e implacabile nella vendetta. Invece, sembra aver paura delle sue idee.

The Beekeeper: valutazione e conclusione

In un certo senso The Beekeeper è un cinecomic sotto mentite spoglie. Perché le abilità sovrumane, il passato misterioso, l’attitudine vendicativa e l’ossessione giustizialista di un Jason Statham graniticamente in parte vanno in quella direzione. Il film recupera il brivido, la tensione e l’adrenalina dell’azione vecchio stile, la cala in atmosfere contemporanee (phishing, giovani milionari senza freni) per offrire un intrattenimento sopra le righe, violento e con un buon senso dell’umorismo. L’impressione è che la regia di David Ayer potesse osare e partorire una storia più sboccata, più violenta, anche più divertente, senza compromettere filosofia e spirito dell’operazione.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.6