Testa o croce? – recensione del film da Cannes 2025
Il film di Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi, presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2025
La testa che vive, la croce in simbolo di morte, le due facce di una stessa medaglia, il desiderio dell’una e la brama dell’altra. Alla 78ª edizione del Festival di Cannes, con Testa o croce?, arrivano Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi che, a quattro anni dall’uscita di Re Granchio – opera dal grande successo critico – tentano un ulteriore passo autoriale, probabilmente in grado di avvicinarli maggiormente anche a occhi meno pretenziosi. Testa o Croce? è l’Italia che incontra l’America, è il western rifratto in tutte le sue sottocategorie, è l’eco di una leggenda orale che diventa mito cinematografico.
Il cast principale fonde le geografie e le lingue del cinema europeo e internazionale: Alessandro Borghi è Santino, buttero goffo e fragile; Nadia Tereszkiewicz è Rosa, figura eroica e femminile in divenire; John C. Reilly è un Buffalo Bill spavaldo e malinconico. La loro chimica definisce i toni del film, oscillanti tra affetto e preoccupazione, tra spettacolo e verità. I due autori confezionano una regia elegante e spigolosa, che si muove tra il naturalismo e il grottesco, e costruiscono una sceneggiatura stratificata, capace di far affiorare temi universali attraverso dialoghi asciutti e situazioni eccentriche. La colonna sonora, composta da Vittorio Giampietro, alterna folk arcaico a sprazzi di modernità acustica. La fotografia, curata da Simone D’Arcangelo, abbraccia il paesaggio laziale e toscano con ampie panoramiche, colori terrosi, luci naturali e controluce. Il progetto produttivo è sostenuto da una co-produzione italo-americana, realizzato dalle società Ring Film, Rai Cinema, Volpe Films, Myopic e The Match Factory, con il supporto di diverse film commission.
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Questione di genere

All’inizio del Novecento, l’arrivo a Roma del celebre Wild West Show di Buffalo Bill accende l’immaginario popolare e mette in scena una competizione tra i butteri locali e i cowboy americani. Tra di loro, Santino emerge come vincitore della disfida. Rosa, giovane e infelice moglie di un potente notabile, si invaghisce di lui e, dopo aver eliminato il marito, senza troppi scrupoli, né ripensamenti, scappa, costringendo alla fuga quello che, di lì a poco, diventerà il suo amante: una taglia viene messa sulla testa di lui e Buffalo Bill stesso viene incaricato di ritrovarlo, in vera e propria caccia all’uomo.
Nel loro peregrinare, Santino e Rosa diventano simboli involontari di rivolta popolare. Lui, esperto solo di cavalli e di nessun’altra arte, scopre l’amore, che mai aveva conosciuto. Lei, inizialmente sognatrice dell’America come terra promessa, si trasforma progressivamente nella vera protagonista del viaggio, nell’eroina della storia. Un inatteso colpo di scena poco oltre la metà del film ridisegna le prospettive, elevando ulteriormente il valore e l’interesse dell’opera.

Testa o Croce? è il godimento dell’attesa di una monetina che rotea per aria, nella speranza vana che non atterri mai e continui a farci sognare. Il film è un costante gioco di tensione e rilascio, una sfida al genere western che attraversa le sue mille declinazioni: dal classico da frontiera al crepuscolare, dal comico al grottesco, dal romance polveroso fino al western politico. È un’opera che scompone il mito americano per rileggerlo attraverso la lente italiana, costruendo la leggenda per poi destrutturarla, come se fosse raccontata attorno a un fuoco da chi è rimasto.
E mentre si gioca con il genere cinematografico, si affronta anche il genere sessuale: Santino non è eroe muscolare, ma uomo che sa solamente andare a cavallo, fragile e disilluso, mentre Rosa prende letteralmente le redini del gioco. La sovversione dei ruoli diventa dunque poetica centrale: è lei che agisce, guida, salva; è lui che ama, attende, subisce. In questo ribaltamento si annida la modernità del film, capace di parlare di genere senza proclami, ma attraverso l’azione e l’evoluzione emotiva dei personaggi.
Testa o croce? – valutazione e conclusione

Bravi Zoppis e De Righi, che hanno saputo riprendere la leggenda con arguzia, fedeli al proprio background italiano e alle proprie derive passionali per il western. Il tema della natura, a cui i due sono legati indissolubilmente, torna e si impone come presenza viva e costante: boschi, paludi, campi aperti diventano personaggi silenziosi, cornici vive di una fuga che è anche esistenziale. La scrittura rende il film intrattenente, dinamico, a tratti ironico, sempre consapevole del proprio impianto simbolico. Racconta sogni e ambizioni, parla di ruoli e della loro sovversione, di amore, di morte e della sua accettazione.
La ricostruzione scenica è notevole: costumi, oggetti, paesaggi restituiscono un’Italia contadina che si fa leggenda. L’apparato tecnico sorregge e potenzia la narrazione: la colonna sonora accompagna con misura; la fotografia, ricca di contrasti e toni caldi, valorizza le geometrie del paesaggio e l’intimità degli interni. Gli attori reggono l’impianto con carisma: Alessandro Borghi torna a vestire un ruolo che sembra cucito addosso, Nadia Tereszkiewicz – dallo sguardo affilato e la bellezza radicata, si mostra impavida a riflettere a riflette l’anima combattiva del suo personaggio; John C. Reilly è una special guest di grandissimo respiro, che alza il valore simbolico dell’opera con la sua iconicità, e ne esalta il taglio sarcastico, offrendo un Buffalo Bill che diverte.
Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi sono le due facce di una medaglia che brilla luminosa, che da qualche anno rotea negli occhi di un universo cinefilo entusiasta, il quale si augura possano giungere a un bacino d’utenza più ampio e, soprattutto, si augura che quella medaglia continui a viaggiare per aria, instancabile e per nulla intenzionata a toccare il suolo.
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