Survive: recensione del film Prime Video
La recensione del disaster movie francese di Frédéric Jardin, distribuito da Prime Video dal 7 luglio 2025 dopo la presentazione al Trieste Science + Fiction Festival 2024.
Nel panorama sempre più saturo dei film apocalittici e catastrofici trovare un tratto distintivo inedito o quantomeno originale è impresa ardua. Motivo per cui la presenza oppure no del suddetto tratto in un dato progetto può in un modo o nell’altro spostare l’equilibrio e indirizzare il suo destino, oltre che alzare o abbassare il livello di gradimento da parte di un pubblico sempre più esigente di appassionati e cultori della materia. Gli sceneggiatori Alexandre Coquelle e Mathieu Oullion hanno trovato quel cavillo nel plot, seppur flebile, per mettere nelle condizioni Frédéric Jardin e la sua nuova fatica dietro la macchina da presa dal titolo Survive di attirare l’attenzione del potenziale fruitore, che in questo caso è l’abbonato a Prime Video, laddove la pellicola è stata rilasciata il 7 luglio 2025 dopo la parentesi al Trieste Science + Fiction Festival 2024. Nel film del regista francese un’inversione improvvisa dei poli magnetici sconvolge la Terra: gli oceani si riversano sui continenti, poi si ritirano, lasciando fondali marini all’asciutto. In questa ambientazione ostile una famiglia si ritrova a dover combattere per la sopravvivenza in un deserto pieno di insidie: caldo cocente, persone fuori di testa, tempeste di sabbia, artropodi famelici.
Survive ha un impianto trans-genere che mescola catastrofe naturale, sci-fi post-apocalittico, thriller psicologico, western e dramma familiare
Non è la prima volta che sullo schermo un evento di tale portata mette a rischio la specie umana e la sua sopravvivenza, ma l’inversione dei poli riduce il pianeta a una sorta di conca che prima si svuota prosciugandosi dalle acque e poi viene nuovamente sommersa dalle stesse. Nel mezzo i pochi rimasti in vita sono costretti a vedersela con le conseguenze dei cataclismi, con le efferatezze umane e con una corsa contro il tempo per trovare un rifugio, nello specifico un battiscafo prima che le acque dell’oceano inondino tutto come in Waterworld. Nulla di nuovo sul fronte narrativo e drammaturgico, ma la suddetta combinazione di eventi crea una spinta propulsiva sul piano della tensione che permette alla pellicola di non abbassare la guardia, il ritmo e non perdere l’attenzione dello spettatore. Per farlo Survive mescola catastrofe naturale, thriller psicologico, western e dramma familiare. Dietro questo impianto trans-genere in cui filoni e relativi stilemi si fondono senza soluzione di continuità, il regista parigino racconta la lotta di una madre disposta a tutto pur di salvare i suoi figli. Lotta che spesso è al centro di moltissimi disaster movie (torna alla mente The Impossible) e di altrettanti sci-fi post-apocalittici. In tal senso, il film di Jardin non aggiunge nulla di significativo alla causa, ma si allinea alle linee guida della letteratura di riferimento, con conseguenti déjà-vu.
Poca CGI e molta fisicità per conferire più realismo possibile alla messa in scena
Per Survive, Jardin ci tiene a conferire al tutto un elevato coefficiente di fisicità e spietato realismo e per questo si affida moltissimo alle performance degli interpreti (Émilie Dequenne, Andreas Pietschmann, Lisa Delmar e Lucas Ebel) nelle scene d’azione e poco alla CGI, preferendo al green screen l’immersione nelle distese di sabbia e roccia del deserto marocchino e il ricorso alla nuit américaine. Quando invece, come nella sequenza dell’attacco degli artropodi ai container o dell’inondazione, il ricorso agli effetti speciali diventa necessario ai fini narrativi, la messa in quadro presta il fianco alle criticità e i limiti di budget fanno venire a galla problematiche evidenti. Forse sceneggiatori e regista di comune accordo avrebbero dovuto fare di necessità virtù, ma non è stato così e il risultato ne paga lo scotto.
Survive: valutazione e conclusione
Un cavillo narrativo nel plot consente a Survive di Frédéric Jardin di presentare un tratto interessante con e attraverso il quale gli autori dello script sono riusciti ad attrarre l’attenzione degli abituali frequentatori del saturo filone del disaster-movie. Filone che il regista parigino mescola senza soluzioni di continuità con il western, il post-apocalittico e il dramma familiare. Il cocktail funziona a fasi alterne, anche se lo spietato realismo alla Peckinpah che strizza l’occhio al suo Straw Dogs conferisce alla messa in scena una tensione che tiene a galla il tutto. La scelta di limitare la CGI a pochi momenti spinge ulteriormente in quella direzione. Quando invece il ricorso ai VFX diventa necessario per esigenze narrative, come nel caso dell’attacco degli artropodi, la resa ricorda i moster-movie di serie B in stile Arac Attack. Il resto è un’offerta che si allinea alla letteratura e agli stilemi della sterminata letteratura dei generi di riferimento, con la regia, la confezione e gli interpreti che fanno di tutto per tenere insieme i pezzi di un puzzle altrimenti molto fragile.