Superman: recensione del film di James Gunn
James Gunn inaugura il DC Universe con l'atteso reboot di Superman. Con protagonisti David Corenswet, Rachel Brosnahan e Nicholas Hoult, l'uscita nelle sale italiane è prevista per il 9 luglio 2025.
Scordando per un momento tutto il resto, e volendo considerare solo l’hype, il match cinecomic dell’estate 2025 lo vince ai punti Superman (sorry, Fantastici 4, avrete modo di farvi valere). Non c’è da stupirsi; il film, nelle sale italiane il 9 luglio 2025 per Warner Bros. Pictures Italia, è il primo mattoncino del neonato DC Universe (acronimo DCU), il primo film (regista e sceneggiatore) di James Gunn dopo l’addio alla Marvel, nonché l’ennesimo reboot dedicato al più famoso supereroe di tutti i tempi, forse il più difficile da addomesticare. La ricetta di James Gunn per il cinecomic perfetto, per come abbiamo imparato a conoscerla dopo tre apprezzati Guardiani della Galassia e un sottovalutato Suicide Squad, è: azione, calore, leggerezza, malinconia, ritmo indiavolato ed emozioni forti. Superman, ai margini dell’inquadratura e anche nel mezzo, è un cinecomic di James Gunn: caloroso, intenso e stratificato. Forse troppo, per quelle che sono le possibilità del film e del genere. Cast: David Corenswet, Rachel Brosnahan, Nicholas Hoult, Edi Gathegi, Nathan Fillion, Isabela Merced, Skyler Gisondo, Sara Sampaio, María Gabriela de Faría.
Superman: gettati nel mezzo della storia, senza preamboli

La prima buona idea di James Gunn per Superman è un’idea di sceneggiatura, e solo poi di regia: tenersi alla larga dall’origin story. Come il piccolo Kal-El sia arrivato sulla Terra, quando e perché, a che punto abbia lasciato il paesello per fare il reporter al Daily Planet, a Metropolis, è mitologia del fumetto e una parantesi narrativa coperta da decenni di cinecomic; l’ennesima ripetizione sarebbe servita a poco. Il reboot, di norma, non tradisce la formula, riavvia il motore del franchise aggiustando dove e quando è necessario. Trattandosi della nuova (per quanto è possibile, senza esagerare) interpretazione di una storia celebre, la preoccupazione di James Gunn è di arrivare al punto scansando il superfluo, per mostrarci il solito/insolito Superman alle prese con la sfida più grande: capire se stesso.
Quando Superman comincia, Clark Kent (David Corenswet) è sulla Terra da trent’anni, dopo essere scampato per un pelo alla distruzione del pianeta natale, Krypton. Quando Superman comincia, Clark Kent è da tre anni l’eroe più amato e chiacchierato del mondo. La copertura è un lavoro da cronista (discreto) al Daily Planet, a Metropolis, e lì ci lavora anche Lois Lane (Rachel Brosnahan), giornalista di razza, compagna di Clark e piena di dubbi sul futuro insieme; è l’unica persona al mondo a conoscere l’uomo dietro il costume e viceversa. Quando Superman comincia, sono sì e no tre minuti che l’eroe ha conosciuto, per la prima volta nella sua vita, il sapore della sconfitta. A dirla tutta, non fa altro per gran parte del film. Perde, arranca, sanguina; in una parola, soffre.
James Gunn ha un malizioso senso dell’umorismo. Rilancia il mito scorticandolo; meglio, racconta il semidio, ma sempre dal lato dell’uomo e delle sue vulnerabilità. Il cinema fino a qui non l’aveva servita bene, la vulnerabilità, ma c’è sempre stata e merita il giusto spazio. A un livello strutturale, siamo di fronte all’insolito mix di dramma, commedia, leggerezza e… geopolitica. Superman impedisce alla fittizia nazione di Boravia di invadere l’inerme Jarhanpur. Dietro l’imperialismo del Boravia si nascondono le losche mire di Lex Luthor (Nicholas Hoult), milionario senza scrupoli ossessionato dal nostro. Convinto sia arrivato sulla Terra per ridurla in schiavitù, Lex ha seminato dubbi nell’establishment americano, ha manovrato un’intensa campagna di diffamazione sui social (peggio della kryptonite) e ha creato un team, con a capo la temibile Engineer (María Gabriela de Faría), per controllarlo, soggiogarlo, contenerlo. Sembra funzionare. Chi e cos’ha, Superman, dalla sua?
Leggi anche Chi è David Corenswet: 12 curiosità che non sai sull’attore di Superman
Una Fortezza della solitudine nei ghiacci artici, gli amici della Justice Gang – sono Lanterna Verde (Nathan Fillion), Hawkgirl (Isabela Merced), Metamorpho (Anthony Carrigan) e Mr. Terrific (Michael Holt) – un cane piuttosto esuberante, Krypto, e l’amore lucido, intelligente, di Lois Lane. È lei a farlo ragionare, a costringerlo a misurare limiti e contraddizioni di un potere non umano, per scala e implicazioni morali. Superman, ridotto all’abc, è la storia di un uomo speciale che perde una battaglia dopo l’altra e nella sconfitta, nella vulnerabilità, nell’incertezza, trova un senso nuovo alla sua missione e la vera grandezza.
Colpire il corpo dell’eroe, per celebrarne lo spirito

Il corpo martoriato di Superman, aggredito da un numero imprecisato di minacce esteriori e corroso dall’interno. Il senso di fallimento, di imperfezione e di sconfitta – bilanciati da un’ostinata attitudine autoironica e giocosa – di cui è impregnata la prima metà del film; basta questo, a James Gunn, per gettare le basi del DCU e ricostruire (ribaltandolo) il suo eroe più celebrato, invitando lo spettatore a riconsiderarne essenza, immaginario e filosofia. Superman è una provocazione action di due ore e dieci minuti costruita attorno alla seguente domanda: qual è il segreto del protagonista? La risposta sbrigativa è che a fare Superman è la combinazione del dna kryptoniano con la chimica del Sole giallo attorno a cui ruota la Terra. Corretto a rigor di logica, ma filosoficamente sbagliato.
La risposta è un’altra: la grandezza di Superman è il suo cuore puro. Non c’è superpotere più nobile, autentico, della cocciutaggine dell’alieno Kal-El che vede sempre e solo il bene negli altri, che non si arrende mai e sa scoprirsi vulnerabile. David Corenswet non è il solito Superman, il boy scout cosmico dal fisico immacolato e con poco senso dell’umorismo che trova un po’ di leggerezza nel contrasto tra un’attitudine seriosa e un costume sgargiante; è un eroe indolenzito, a tratti sconsiderato, in sintonia con la sua fragilità e sempre pronto a rialzarsi. È l’eroe di cui ha bisogno un film di James Gunn, specialmente quello che parte da un’illusoria impressione di grandezza – il corpo di Superman, la sua granitica esteriorità – e in men che non si dica la fa a pezzi, per costringerci a guardare nella direzione giusta, verso la smisurata integrità morale di uno straniero venuto da lontano, osteggiato per questo – è il retroterra politico del film, chissà cosa ne penserà Trump – e che non cede mai al cinismo, né si fa sopraffare dalla sua grandezza.
Intorno al protagonista e alla sua odissea interiore c’è Nicholas Hoult e il suo Lex Luthor sopra le righe e minaccioso, e la sempre bravissima Rachel Brosnahan. Davvero è la cosa migliore del film; ha verve, si cala in maniera credibile nell’azione – è una Lois Lane diversa, più coinvolta del solito – e bilancia l’impeto eroico del partner con empatia e lucidità. Superman è, in effetti, lo show collaterale di tanti personaggi, forse troppi. C’è Michael Holt e il suo interessantissimo Mr. Terrific, c’è Isabela Merced/Hawkgirl che meritava più spazio, c’è la caratterizzazione scanzonata di Nathan Fillion/ Lanterna Verde; meglio fermarsi qui, per conservare l’integrità della storia.
Oltre le acrobazia più spericolate – in genere, il tallone d’Achille del cinecomic è il carattere caotico e incomprensibile dell’azione, un rischio che Superman riesce a scansare – oltre il carattere stereotipato della colonna sonora di John Murphy e David Fleming – un’anomalia, data la centralità che la musica ha sempre avuto nel percorso del regista americano – c’è Superman come summa del cinema di James Gunn, c’è la storia di un’improvvisata famiglia di eroi, grandi proprio perché sgangherati e imperfetti. Il film passa metà del suo tempo a cercare, senza trovarlo, il ritmo giusto, sopraffatto dalla sua densità – di personaggi, linee narrative e temi – e con l’idea di non perdere tempo in preamboli, gettando nella mischia ogni personaggio con il minimo indispensabile di informazioni e lasciando che sia la storia a riempire i vuoti. Non va, anche se le cose migliorano con il passare del tempo. L’impressione è che la densità ambiziosa di Superman, il voler essere a un tempo pop e solenne, fisico e spirituale, drammatico e dissacrante, sia sproporzionata alle possibilità del film, lasciandolo in costante difetto di equilibrio.
Superman: valutazione e conclusione

Di questo si tratta: Superman è un cinecomic imperfetto ma vitale, che traccia un sentiero per il suo prestigioso protagonista immaginando un futuro più vulnerabile (esteriormente), equilibrato da un’interiorità più approfondita (la purezza come vero superpotere). Forse Superman va letto così, scordando l’hype, accettando sia solo il primo passo di un sentiero cinematografico più articolato, i cui contorni non sono del tutto chiari. È un film nato per essere riletto in retrospettiva. Molto di quello che succederà nel DCU da adesso in poi ci aiuterà a metterne in prospettiva pregi e difetti.