Space Monkeys: recensione del film di Aldo Iuliano
In un castello cinque ragazzi affrontano un'I.A. in challenge sempre più pericolose
È in sala dal 28 novembre 2022 Space Monkeys, il primo lungometraggio di Aldo Iuliano, pluripremiato autore di diversi corti (ricordiamo Tatoo e Penalty): cinque adolescenti in una festa di fine estate giocano con un’intelligenza artificiale, Able. Lo scopo del gioco è superare delle challenge sempre più pericolose, in una corsa al brivido che non potrà che sfociare in tragedia.
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Iuliano aveva dato già ottima prova di sé con le sue storie di pochi minuti che si sa, sono le più difficoltose per costruzione drammaturgica e architettura narrativa: prove superate più che brillantemente, grazie ad uno sguardo sicuro e ad una tecnica da consolidato professionista.
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Il pericolo, passando al lungo e per chi è abituato a confrontarsi con racconti di breve respiro, è sempre quello di perdersi nelle proprie velleità e di non riuscire a focalizzare l’attenzione, facendo naufragare l’intero film. Ma Iuliano affronta tutto con l’arroganza necessaria di chi sa bene di possedere uno sguardo proprio ma soprattutto di avere solide basi tecniche: Space Monkeys infatti vince soprattutto perché è un film costruito sulle immagini, senza necessariamente perdercisi.
Giustamente, nell’audiovisivo da sala si dà oggi ampio risalto e importanza alla sceneggiatura e alla trama, sacrificando troppo spesso alla storia un adeguato sostegno visuale: un po’ il contrario di tanta narrativa giovanilistica, che alla fine risulta fin troppo patinata perché priva di anima.
In Space Monkeys ciò che si mostra è ciò che è
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Space Monkeys invece sa stare nel mezzo, e lo fa con quell’arroganza di sopra che si risolve in un surplus di informazioni e strade: ma il risultato è alla fine solidissimo perché, nonostante questo, intreccia mirabilmente contenuto e contenitore, facendo sì che i difetti di messa in scena divengano significato e significante.
Le challenge sono un format fin troppo abusato per mostrare la generazione Alpha che, per inciso, è figlia della Generazione Z a sua volta preceduta dai Millenials – 1980/1996 -, dalla Generazione X – 1965/1980 – e dai baby boomer – 1946/1964 -: tutto questo corredo generazionale, apparentemente confusionario, viene troppo sovente risolto in frettolose generalizzazioni.
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Space Monkeys è invece sullo schermo per mettere un punto fermo dimostrando che ciò che si mostra è ciò che è, nella fattispecie esistenze frettolose e superficiali, che affrontano la vita a testa fin troppo alta. Vita che risuona come sospesa nel vuoto, in uno spazio siderale, colorata da asperità che toccano l’intero spettro emozionale: in questo modo, il film ha un timbro estetico preciso, con un’ambientazione da arthouse esteticamente ostentata che racchiude in un guscio i cinque corpi protagonisti.
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Il corpo: anche qua, una presenza materica dichiarata, sbeffeggiata e sbeffeggiante, che indossa maschere (di scimmia) al neon per spingersi alle origini e fare poi il giro andando dritto verso un futuro che sembra denso ma è solo superficie. La frontiera ultima del corpo, come disvelamento, che si fa oggetto pressato, portato agli estremi, metariflessivo.
Una apparente confusione che ha però il pregio della sincerità: Space Monkeys è un film sui giovani che non vuole mentire.
Non è una commedia innocua, non un romanzo di formazione estetizzante, non ha romanticherie da spiaggia (anche se da una spiaggia parte e su una spiaggia torna: ma è solo un passaggio obbligato, un dazio, uno sberleffo, un punto di transito e di ritorno obbligato), non ha le pretese di essere generazionale né di farsi rivelatore di per sé.
Ma nel suo vuoto così variegato e dolorosamente pericoloso, porta con sé una rivendicazione identitaria che non fa sconti.
La maestria registica di Aldo Iuliano in Space Monkeys
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Daniele Ciprì alla fotografia, Francesca Sartori ai costumi, Marco Spoletini al montaggio garantiscono per il regista, che dimostra una padronanza della macchina da presa da non sottovalutare: solo a titolo di esempio, la sequenza della “soggettiva del cadavere” che frammenta la realtà a macchina fissa è da antologia. Forse non tutto funziona o è funzionale, e forse l’entusiasmo di Iuliano si tramuta in troppi passaggi in una bulimia che avrebbe avuto bisogno di qualche scrematura in più: ma trovatelo, un film così fresco e veloce che racconta di solitudine, bullismo, razzismo e depressione senza abusare di niente che sia stato già fatto.