Editoriale | Euphoria: perché la Generazione Z ci spaventa e affascina

Euphoria, la serie TV HBO in onda su Sky con Zendaya protagonista, ci mostra gioie e dolori della Generazione Z.

Euphoria è spaventosa, ipnotica, scintillante. La serie HBO in 8 episodi diretta da Sam Levinson e disponibile su Sky Atlantic dal 26 settembre ci trascina nella voragine di una nuova generazione e lo fa servendosi di una regia a tratti allucinante, che scorre lenta come le emozioni dei protagonisti. La macchina da presa imbeve il suo occhio meccanico – e per osmosi il nostro – in uno strato di lustrini e colori. Tutto sembra mutare dolcemente come se lo vedessimo dal cannocchiale di un caleidoscopio, tutto sembra vacillare, precipitare verso l’abisso e poi ascendere verso la monotona realtà.

Euphoria è sballo nel senso più brutto del termine, e anche in quello più bello. È amore violento, amicizia incondizionata, amore fraterno; è sopportazione e mancanza di accettazione. È solitudine, tanta solitudine: la consapevolezza di essere tremendamente soli e incompresi e di essere maschere in un mondo digitale. La serie con Zendaya protagonista è un teen drama anomalo che, più che di necessaria visione per gli adolescenti, è d’obbligo per gli adulti, per chi cioè quel mondo lo conosce e comprende poco.

Euphoria: dalla depressione al revenge porn

D’altro canto sarebbe errato dipingere la Generazione Z, quella che nella serie prende forma grazie ai vizi e alle virtù di Rue (Zendaya), Jules (Hunter Schafer), Kat (Barbie Ferreira), Maddy (Alexa Demie), Cassy (Sydney Sweeney) o Nate (Jacob Elordi), come un’accozzaglia di negatività. Certamente non è questo ciò che è né tanto meno ciò che il regista e sceneggiatore dipinge.
Servendosi della voce narrante di Rue, un’adolescente tossicodipendente, Euphoria snocciola a ogni episodio la psicologia dei personaggi addentrandosi nelle loro paure e debolezze e affondando la lama della coscienza nelle nostre consapevolezze di adulti ma anche nelle nostre mancanze e ignoranze.
Sam Levinson ci apre gli occhi su un mondo che è pura poesia e follia, che è dramma e sogno, che è illusione ma soprattutto realtà. Lascia che questi nuovi adolescenti ci sconquassino e ci insegnino qualcosa e se hanno una marcia in più o soffrono di colossali mancanze il merito e/o la colpa non è solo la loro, ma delle generazioni passate. Tutto ciò che sono stati o hanno vissuto da bambini si ripercuote nella loro quotidianità nella fase forse più delicata della vita: l’adolescenza.

Euphoria: spiegazione del finale di stagione

In una miscellanea inquietante e intrigante di immagini e suoni intercorrono così la depressione, l’ossessione per il sesso e le droghe, l’aborto, il bullismo, gli amori violenti, il revenge porn, i traumi fisici dovuti alla tossicodipendenza, ma anche la scaltrezza, la creatività e i sogni di una generazione che non crede possa essere credibile l’esistenza di un “sogno americano”. Euphoria si lascia intendere allora per contrasti, senza giudicare, semplicemente limitandosi a farci scorgere tutte le sfumature di quei protagonisti le cui storie appaiono sempre più spesso sui giornali, di quella generazione dissoluta così vicina eppure così lontana da noi.

Euphoria cinematographe.it

Hunter Schafer in Euphoria

Quella generazione che non riusciamo a capire ma che forse un po’ invidiamo perché è giovane, bella, apparentemente sicura di sé. Una generazione in cui i rapporti LGBT sono normalità, che non sente la pressione della diversità poiché è talmente immersa nella multietnicità da non farci totalmente caso. Una generazione che è nata e cresciuta con un nuovo modo di comunicare, facendo della tecnologia un refugium peccatorum in cui redimersi dall’anonimato. Tablet, pc e smartphone sono la prosecuzione dei loro corpi e della loro anima, talmente onnipresenti da rendere ogni loro azione indelebile, come i video hot di Cassie (Sydney Sweeney). In questa prospettiva la loro personalità spesso si sdoppia in ciò che sono nella vita reale e ciò che vorrebbero diventare, e quindi riescono a essere, nella vita digitale. Come Kat, sfigata nella realtà e dominatrice in chat, sconosciuta a scuola ma popolarissima scrittrice sul web.

Certo, c’è da dire che questa Generazione Z protagonista della serie TV HBO è figlia perlopiù della Generazione X e sarebbe stupido non notare come, se da un lato emergono i tratti peculiare dei giovani di oggi, dall’altro ci si rende conto come in tutti i casi esaminati essi siano perlopiù soffocati dalle stramberie dei loro genitori, talvolta normali, altre invece gonfi essi stessi di perversioni e dipendenze insane.

Euphoria: il manifesto della Generazione Z

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Così Euphoria si impone nel panorama seriale e si lascia amare perché è esteticamente mozzafiato, perché è pura trasgressione e provocazione, perché sfoggia colori accecanti e fluo col glamour raffinato di uno spot pubblicitario (strizzando l’occhio al The Neon Demon di Nicolas Winding Refn), come se ogni frame fosse un’immagine da immortalare e postare sui social; perché è realistica e differente da tutti i prodotti di genere che siamo abituati a vedere. Perché non conosce vie di mezzo: o la si ama visceralmente o la si odia profondamente.

Per questo e molto altro essa si erge a manifesto della Generazione Z. Per questo e molto altro ci spinge a tendere la mano verso tutta quella vita così fresca e indifesa che ci scorre vicino, mentre siamo in metropolitana, mentre insegniamo loro la grammatica latina scrutandoli dall’altro lato della cattedra, mentre facciamo la fila al supermercato. Euphoria non educa né diseduca, semplicemente informa e lo fa con stile e, tra un conato di spavento e uno di fascino, immortala in una manciata di puntate l’evoluzione del genere umano.