Venezia 77 – Selva tragica: recensione del film di Yulene Olaizola

Una regia audace per un film non facilmente collegabile a un solo genere, diretto da Yulene Olaizola e presentato a Venezia 77.

Film di difficile catalogazione questo Selva Tragica di Yulene Olaizola, dramma ambientato negli anni ’20, nella giungla al confine tra Messico e Belize, tra i raccoglitori di gomma che tra fatica bestiale, insetti e quant’altro si imbattono nella bella Agnes (Indira Andrewin), ferita ed in fuga da un tirannico padrone inglese.
In breve tra il gruppo di uomini, comincerà a serpeggiare un sempre crescente nervosismo, alimentato non solo dalla fatica, dal pericolo di un mestiere rischioso e poco remunerato, ma anche dagli istinti e pulsioni risvegliati da Agnes.
Tra sospetti, morti, sogni di ricchezza e carnali, il gruppo di raccoglitori si incamminerà verso un sentiero di perdizione e morte, mentre il sospetto di aver tra di loro non una ragazza, ma Xtabay (un demone femmina della mitologia Maya) comincerà a serpeggiare in modo sempre più insistente.

Selva Tragica appartiene a molti generi e a nessuno

Il film di Yulene Olaizola è di difficile collocazione probabilmente perché la stessa regista ha scelto di non connotarlo in modo preciso o definito, lasciando allo spettatore la domanda se ciò a cui sta assistendo, sia un’immersione realista, allegorica, storica o metaforica o un’insieme di tutte queste cose.
Riecheggiano gli echi di una sperimentazione cinematografica nelle giungle, che ha avuto in diverse produzioni italiane degli anni ’70 e ’80, molti cineasti protagonisti di opere discontinue, tuttavia non si può certo negare che Selva Tragica non abbia un certo fascino, connesso ad una fotografia e regia audaci e molto efficaci.
La natura è assoluta protagonista, forziere di tesori a cui fa una guardia spietata con le sue fiere, le sue intemperie, i suoi insetti e la paura che il suo manto verde suscita, con le sue acque e la sua terra pronta ad accogliere ogni errore umano, a chiederne lo scotto.
In essa gli uomini si scoprono più selvaggi degli animali con cui condividono spazio e tempo, perdono ogni empatia, ogni misura, oppressi da una morte che può arrivare da chiunque e da dovunque.

Una protagonista macabra e spirituale

Selva Tragica cinematographe.it

Su tutto e tutti però in Selva Tragica, sotto traccia, domina lei, domina Agnes, che da vittima diventa silente e beffarda testimone, istigatrice di pulsioni sessuali e gelosie omicide, machiavellica vendicatrice non solo di se stessa, ma di un sesso oppresso e violentato.
Il desiderio è la sua arma, il suo corpo, il suo sorriso provocante, sono dischiusi come i petali di una pianta carnivora, in cui però sovente affiora anche al curiosità, la dimensione di una femminilità che di fronte alla morte, reclama una sessualità selvaggia.
Gli uomini invece sono come sono in gruppo, quando il sesso e il denaro sono in gioco: deboli, egoisti, violenti, codardi e senza alcun onore:sono figli del loro tempo? Si. Eppure non è un caso che in Selva Tragica i nativi (o i loro discendenti) siano gli unici a capire il pericolo che cammina con loro, a riconnettersi con una conoscenza atavica e antica sui mali dello spirito umano. Non della selva, essa ha le sue leggi, immutabili ed eterne, sono gli uomini che ne creano di nuove subito per rinnegarle.

Le immagini contano più di ogni altra cosa

Selva Tragica cinematographe.it

La fotografia di Sof a Oggioni valorizza al massimo ogni luce, ogni sfumatura del verde, stupisce con i suoi infrarossi con cui immortale attimi animaleschi e terribili, tuttavia alla fine fine si ha come l’impressione che a tanto realismo (ed iperrealismo) Selva Tragica non aggiunga neppure la minima traccia di profondità su personaggi ed eventi.
Essi rimangono legati a tratti grossolani e oggettivamente pure prevedibili: l’infantile, il saggio, il crudele, il bello, il valoroso…nulla ci viene detto su Agnes e da cosa stesse scappando, e la stessa collocazione storica non è precisa, soffre di anacronismi crescenti.
Il tutto talvolta rende l’idea che più di un’opera concettuale, sia essenzialmente un esercizio di stile tanto riuscito quanto però privo di una profondità tematica e diegetica che superi una mera teatralità in mezzo alla natura.
Le metafore, le allegorie mitologiche, l’abbracciare violenza e giochi di luce ed ombre, alla fine superano il significato, rendono Selva Tragica un pò meno di quanto presume di essere, di quanto potrebbe essere.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

3