Scomode Verità: recensione del film di Mike Leigh

Mike Leigh torna dopo sei anni con Scomode Verità, doloroso e divertente dramma intimista con la bravissima Marianne Jean-Baptiste. Dal 29 maggio 2025 in sala.

Si comincia con due precisazioni. La routine festivaliera serve al film (e all’autore) perché regala visibilità, prestigio e il margine di manovra necessario a conquistarsi quella fetta di pubblico che consente di restare a galla in un ecosistema competitivo e difficile come quello del moderno cinema d’autore. Mike Leigh è uno dei maggiori, o forse il più celebrato, tra gli autori inglesi.

Il 29 maggio 2025 Lucky Red porta in sala il suo ultimo film (per il momento), il devastante, commovente e bellissimo Scomode Verità – il titolo inglese è tradotto con la dovuta fedeltà, era Hard Truths – scritto, oltre che diretto, dal regista inglese e con protagonista la bravissima Marianne Jean-Baptiste, che proprio Mike Leigh aveva rivelato nel 1996 con il suo capolavoro Segreti e Bugie. Forse a un calibro autoriale così non serve la gloria e la vetrina del festival di primissimo piano – passa comunque a Toronto, New York e San Sebastián – ma questa non è l’unica recensione a sottolineare l’anomalia. Scomode Verità meritava la luce e l’attenzione mediatica di una rassegna importante. Se sia dipeso da una scelta della produzione, dell’autore o dell’organizzazione dei maggiori festival non è dato saperlo, e forse non è importante. Quello che conta è che il film è una riflessione su dolore, rimpianti, segreti e vita in famiglia, dall’implacabile, assurdo e doloroso umorismo. Merita di finire ai piani alti di qualsiasi lista critica degna di questo nome. L’anonimato non gli si addice.

Scomode Verità: una donna e il suo dolore

Scomode Verità; cinematographe.it

Per il primo film in sei anni, Mike Leigh torna alle basi. Accantonati gli alti standard produttivi del dramma in costume con Turner (2014) e Peterloo (2019) – il secondo socialmente consapevole – si torna, con Scomode Verità, al dramma di ispirazione popolare, formalmente sobrio, dalla scrittura finissima, d’estrazione prevalentemente londinese e modellato con il diretto contributo degli interpreti. È la storia di una donna, anzi di due, anche sorelle. Di una famiglia, meglio, di due famiglie. Di vivi ma non solo, perché c’è un fantasma a complicare i piani della protagonista. Pansy (Marianne Jean-Baptiste) è una donna, una madre, una moglie, una sorella. Il filo conduttore delle quattro incarnazioni della sua personalità è il dolore.

Pansy è dolore incarnato. Il dolore per il passato che ritorna – nello specifico il rapporto irrisolto con la madre morta da anni, un lutto che non è stata capace di elaborare – il dolore per il matrimonio senza più speranze con Curtley (David Webber), il dolore per il legame inespresso con Moses (Tuwaine Barrett), figlio taciturno e sovrastato dall’opprimente furia materna. Pansy non esce di casa se non è necessario, è terrorizzata dall’assalto degli sconosciuti, cerca di evitare il contatto con superfici scomode per tenersi al riparo da brutti scherzi. Ha paura dannata della vita e, per difendersi dai soprusi, reali o soltanto immaginati, rende la vita, sua e di chi le sta intorno, un inferno in terra.

Mike Leigh torna, con Scomode Verità, alla radice del suo cinema disegnando un racconto intimista in perfetto equilibrio tra realismo e drammatizzazione dei piccoli, grandi fatti della vita. Elegante, ma refrattaria ai preziosismi, l’immagine e la sua composizione; sottile e intelligentissima, la scrittura. La vita è restituita al punto d’intersezione tra lacrime e risate, nella misura in cui tutto ciò che di doloroso c’è nella quotidianità di Pansy – la vediamo letteralmente sgretolarsi davanti i nostri occhi – è esasperato da un umorismo involontario, mentre ogni risata nasconde un retrogusto amarissimo. L’unica che può cercare di frenare la caduta inarrestabile di Pansy è sua sorella Chantelle (Michele Austin), solare, conciliante, costruttiva; l’esatto opposto della vocazione distruttrice di Pansy. Scomode Verità è un film costruito sul crinale di un paio di paradossi interessanti.

Un cinema di paradossi, bei paradossi

Scomode Verità; cinematographe.it

Alcuni di questi paradossi sono nascosti alla vista, sepolti nel passato del cineasta e della protagonista. Il personaggio di Pansy è il totale ribaltamento del ruolo assegnato da Mike Leigh a Marianne Jean-Baptiste in Segreti e Bugie. Lì era Hortense, l’amabile, equilibrata e tutto sommato felice Hortense. Pansy la costringe a chiudere il cerchio tracciato con Segreti e Bugie quasi trent’anni fa esplorando il polo opposto dello spettro: una femminilità nevrotica, infelice, rabbiosa e fortemente provata. La verità di cui la bravissima attrice inglese riempie il personaggio, lavorando su toni sopra le righe, furia implacabile e depressione, è tanto più sorprendente se si considera il rischio tipico di una caratterizzazione così urlata, sconfinare nella caricatura.

Non succede, e se ne riconosca il merito condiviso all’intelligenza dell’attrice alla lucidità di sguardo del suo autore. Mike Leigh, 81 anni suonati, ricorda ancora come si fa. È la cifra espressiva e ideologica del suo cinema stare in equilibrio tra immagine e parola, tra potenza drammatica del racconto e analisi intimista. Gli ulteriori paradossi di cui riempie l’armatura narrativa e sentimentale di Scomode Verità sono la capacità di lavorare sull’intrattabilità della protagonista, scavata fino alla profondità dei suoi traumi più nascosti, per stabilire un rapporto di empatia totale con lo spettatore – tanto più Pansy approfondisce la distanza con il mondo tanto più stipula un tacito patto di vicinanza con il pubblico – e la giostra impazzita di dramma e umorismo. Si ride – con qualche senso di colpa, ma senza malizia – delle cose che dovrebbero farci storcere il naso, e viceversa.

Scomode Verità è, contemporaneamente, un film potente e un titolo accurato. Le impietose ma sincere rivelazioni della storia hanno a che fare con il dolore, le tracce del passato sul presente e la vita delle persone, l’impossibilità di uscire dall’inferno esistenziale che è la presenza degli altri, la salute mentale e la felicità. Eppure, il film non cede alla pornografia del dolore a buon mercato. Scomode Verità è un film vitale e coraggioso perché rifiuta scorciatoie e facili consolazioni. Rappresenta il dolore, lo deforma per necessità drammatiche, lo circonda persino di umorismo, ma non si arrende all’evidenza. L’ottimismo è implicito e magari forse sfugge al primo sguardo: nel momento in cui la macchina da presa di Mike Leigh si posa su una realtà impietosa, è proprio grazie alla fiducia nella possibilità di usare il cinema ( lo storytelling, la forza delle interpretazioni) per riflettere sulla vita e le persone che il film trova il modo di mostrarci la via. Rielaborare. Per capire e, con un po’ di fortuna, superare.

Scomode Verità: valutazione e conclusione

Scomode Verità; cinematographe.it

Forse ci sono altri paradossi da esaminare, per chiudere il cerchio di Scomode Verità. Il primo è che l’autorialità di Mike Leigh è più difficile da tracciare rispetto alla vocazione, più limpida e politicamente accentuata, di un Ken Loach, proprio per la sua natura non convenzionale. Leigh costruisce il suo inconfondibile sguardo sul mondo sulla parola prima che sull’immagine e tramite un lavoro intenso con gli interpreti – dai mesi di prova prima di girare al contributo degli attori nella costruzione dei personaggi – suggerendo un modo di fare cinema d’autore anomalo: collettivo e per nulla individualistico. Poi c’è l’aspetto puramente formale. L’elegante e ricercata fotografia di Dick Pope è limpida, pulita, dalla precisione geometrica, mai ostentata né paga della sua bellezza. Il lavoro sul sonoro, straniante, puntuale ma non ingombrante di Gary Yershon racconta una storia simile. Scomode Verità è uno dei film più riusciti e straordinari dell’anno per la capacità di raccontare la sua verità armonizzando e valorizzando suono, immagine, parola, senso del cinema e sentimento. Perderlo è peccato mortale.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4