Scarlett: recensione del film di Luigi Boccia

Scarlett, presentato al Rome Independent Film Festival, è un thriller psicologico ispirato al cinema di Carpenter e ai romanzi di Stephen King.

La vita quotidiana di ognuno di noi è fatta, perlopiù, degli oggetti che ci circondano. Smartphone, automobili, orologi, tablet e quant’altro. Cos’accadrebbe se la comodità della nostra routine venisse all’improvviso spezzata, se questi oggetti prendessero vita e si ribellassero alla nostra volontà? È quello su cui si interroga Scarlett, opera prima di Luigi Boccia presentata in concorso all’ultima edizione del RIFF – Rome Independent Film Festival.

Protagonista delle vicende è la sceneggiatrice Giulia (Miriam Galanti), alla guida di un’automobile che, all’improvviso, sembra essere dotata di coscienza propria. La ragazza, infatti, rimane bloccata nell’abitacolo del veicolo senza apparente ragione, quasi per volere dell’auto stessa, e qualsiasi sforzo attuato per tentare di liberarsi si rivelerà vano.

Scarlett: il film di Luigi Boccia tratto da un racconto scritto dal regista stesso anni fa

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Punto di arrivo di un percorso lungo e ostacolato (la sceneggiatura del film è in giro dal 2006 – quando la Eagle Pictures volle farne un film ambientato e girato negli Stati Uniti, prima che il progetto prendesse altre strade), Scarlett prende le mosse da un racconto preesistente, scritto anni fa dal regista stesso, in cui tutte le influenze ricevute da un certo tipo di letteratura e di cinema horror si mescolano per dare vita a un film di genere dalla componente psicologica. Si pensa, prima di chiunque altro, alla poetica di Stephen King; di conseguenza, viene spontaneo riallacciarsi al cinema di John Carpenter, che con Christine – La macchina infernale (1983) ha trasposto sul grande schermo quella che, tra le storie di matrice “kinghiana” (il film, come risaputo, fu tratto da un suo romanzo), è senza dubbio la più concordante con quella di Scarlett.

È un film in interni, a tutti gli effetti, quello che avvia la carriera di regista di Luigi Boccia: sebbene ambientato “solo” per il 70% del tempo all’interno dell’abitacolo dell’autovettura, Scarlett si fa forte della sua idea per edificare la struttura di un thriller on the road immerso totalmente nelle location italiane di cui fa sfoggio (sono riconoscibili alcune strade della capitale), ma dal carattere tipico del b-movie d’oltreoceano risalente a qualche decade fa. Palpabile tra le suggestioni che contribuiscono a tessere la narrazione di Scarlett è l’apice del periodo televisivo di Steven Spielberg, quindi Duel (1971) e la sua autocisterna assassina, i suoi inseguimenti senza sosta tra gli scenari desertici degli Stati Uniti e il rapporto uomo-macchina che viene codificato tramite i tempi dell’action movie.
In Scarlett le prove attoriali non sempre sono in grado di restituire l’autenticità della tensione che si cerca di costruire scena dopo scena. Questo perché non sembrano essere avvantaggiate da un’adeguata caratterizzazione dei propri personaggi in fase di scrittura, problema che contribuisce a far capitombolare l’opera in alcuni momenti di comicità involontaria.

Scarlett: un film ispirato ai b-movie di stampo carpenteriano

Scarlet Cinematographe.itCome operazione, Scarlett è apprezzabile da ogni punto di vista. Ammirevole è il voler dimostrare che il cinema di genere può sopravvivere anche nel Bel Paese, territorio dove sembra essere stato dimenticato. Ammirevole è il volersi rifare ai massimi esponenti dell’intrattenimento letterario e cinematografico, e che tutto questo, peraltro, può essere fatto senza l’ausilio di una grande o media produzione.

Il film di Boccia ha, insomma, il pregio della genuinità, e non è cosa da poco. Ma si tratta pur sempre di punti di forza sul piano teorico, puramente “ideologico”. Preso in analisi come opera compiuta, in ogni sua componente filmica, Scarlett risulta essere un prodotto non privo di qualche problema: i limiti relativi al piano della messinscena rendono il film grossolano, e varie pecche possono essere riscontrate anche per quanto riguarda l’impianto narrativo, che zoppica probabilmente a causa delle ambizioni del soggetto stesso. Infatti si ha la sensazione che Scarlett, dalle premesse così allettanti, si perda in un groviglio di idee per probabili conclusioni che conducono la storia fuori dai gangheri e si sovrappongono l’una sull’altra, senza mai riuscire davvero a chiudere il cerchio. Si rimane in sospeso fra mille intuizioni, centomila metafore, e nessuna di queste poi così incisiva, o anche solo convincente.

Regia - 0
Sceneggiatura - 0
Fotografia - 0
Recitazione - 0
Sonoro - 1
Emozione - 1.5

0.4