Salvate Maya: recensione del documentario Netflix

Dopo l’anteprima mondiale al Tribeca Film Festival, il documentario con il quale Henry Roosevelt cerca di far luce sul caso di Maya Kowalski arriva su Netflix dal 19 giugno 2023.

Ci sono progetti audiovisivi che più di altri sono in grado di smuovere le coscienze, la cui visione solleva domande, offre spunti di riflessione e accende dibattiti dopo avere lasciato un segno profondo nel cuore e nella mente dello spettatore. È il caso di Salvate Maya, un documentario che siamo sicuri cambierà per sempre il modo di guardare e approcciarsi all’assistenza sanitaria per  l’infanzia e alla pediatria. Diretto da Henry Roosevelt, il docufilm rilasciato da Netflix il 19 giugno 2023 dopo l’anteprima mondiale all’ultima edizione del Tribeca Film Festival è un pugno potentissimo sferrato alla bocca dello stomaco, di quelli capaci di lasciare senza fiato.

In Salvate Maya viene rievocata l’odissea umana, medica e giudiziaria della famiglia Kowalski

Salvate Maya cinematographe.it

É così che ci si sente al termine di Salvate Maya, storditi e senza parole per quanto si è udito e visto nel corso dei cento minuti che vanno a comporre la timeline. Tanti ne sono serviti all’autore per rievocare l’odissea umana, medica e giudiziaria della famiglia Kowalski e della primogenita Maya, protagonisti di un clamoroso errore commesso da alcuni rappresentati del sistema sanitario a stelle e strisce ai loro danni. Era l’ottobre 2016 quando Jack Kowalski porta sua figlia, che di anni all’epoca ne aveva nove, al pronto soccorso del Johns Hopkins All Children’s Hospital in cerca di aiuto per il dolore estremo correlato alla sua condizione neurologica documentata: la CRPS, acronimo di Sindrome Dolorosa Regionale Complessa, una malattia rara riconosciuta dalla medicina moderna solo nei primi anni Novanta. Da quel momento per la piccola e i suoi cari, compreso il fratello Kyle inizia un autentico calvario, perché dopo pochi giorni dal ricovero l’equipe medica inizia a mettere in dubbio la natura dei rapporti familiari dei Kowalski, con la madre Beata che viene accusata di abusi sulla minore. Ciò segna per la coppia l’inizio di un incubo, che li porta ad essere allontanati dalla figlia che viene trattenuta in ospedale contro la sua volontà. Con poche risorse, non hanno altra scelta che obbedire. Nei mesi atroci che seguono, Jack e Beata si ritrovano alla mercé di un sistema di assistenza all’infanzia imperfetto, coinvolti in una battaglia legale dalle conseguenze devastanti.

Il regista di Salvate Maya rimette insieme tutti i pezzi di una lotta tra Davide e Golia

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Roosevelt si trova così a rimettere insieme tutti i pezzi dell’ennesima lotta tra Davide e Golia che come avremo modo di vedere non ha ancora scritto la parola fine. Chi ha memoria del caso in questione già saprà quale polverone mediatico ha sollevato e di conseguenza cosa aspettarsi dalla visione del documentario, mentre coloro che non ne erano a conoscenza si troveranno a fare i conti con lo sdegno e un carico di emozioni cangianti difficile da scrollarsi di dosso. Ma in entrambi i casi lo spettatore di turno non riuscirà a restare indifferente davanti agli accadimenti e ai suoi effetti diretti e collaterali. Salvate Maya si presenta come un’accurata ricostruzione dei fatti che seguirono l’inizio del calvario, preceduto da un’incipit che mostra un idilliaco ritratto casalingo andare in frantumi. Il tutto rientra in una cronistoria che segue il susseguirsi sempre più tragico degli eventi attraverso gli highlights più significativi, alcuni dei quali davvero complessi e delicati da affrontare emotivamente. Al giro di boa della timeline arriverà infatti uno di quei colpi alla bocca dello stomaco di cui sopra, capaci di mandare al tappeto chiunque. Bisognerà dunque trovare la forza per rialzarsi e proseguire la visione, ma credeteci quando vi diciamo che non sarà per nulla facile.

Un racconto che mette a dura prova i protagonisti e di riflesso lo spettatore, trascinato emotivamente in un inferno ad occhi aperti

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Per rimettere insieme i tasselli del mosaico, il regista americano si affida a una narrazione corale in prima persona dei protagonisti, Maya compresa, che raccontano e si raccontano nel corso di un arco temporale che copre il periodo che va dal giorno del ricovero sino ad oggi. Nel mezzo la scoperta della diagnosi, la lotta dei Kowalski per riuscire a riportare a casa loro figlia, una serie di tragici eventi e il percorso giudiziario a ostacoli ancora in corso per giungere alla verità. Un racconto, questo, che metterà a dura prova loro e di riflesso lo spettatore, trascinato emotivamente in un inferno ad occhi aperti senza fine. Il racconto corale, pur mantenendo i Kowalski come baricentro, si estende oltre i membri della famiglia anche a testimonianze esterne gettando le basi di un interessante contraddittorio. Il risultato è un approccio di natura giornalistica che sconfina con coraggio e decisione nel territorio minato dell’inchiesta, permettendo al documentario e a chi lo ha concepito di ricoprire una posizione super partes dalla quale restituire i fatti a 360°.  Il tutto con l’aiuto di materiali di repertorio pubblici e privati accuratamente selezionati e mescolati con le riprese realizzate ad hoc da Roosevelt e dalla sua troupe. L’archivio e gli altri punti di vista raccolti all’interno di un gruppo di figure informate dei fatti servono al fruitore per schiarirsi ulteriormente le idee, permettendo al singolo spettatore di maturare autonomamente un pensiero a riguardo.               

Salvate Maya: valutazione e conclusione

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Un documentario emotivamente coinvolgente, potente come un pugno sferrato alla bocca dello stomaco, di quelli capaci di togliere il fiato. Dopo la visione di Salvate Maya, lo spettatore cambierà per sempre il modo di guardare all’assistenza sanitaria per l’infanzia e alla pediatria a stelle e strisce. L’autore crea un interessante ed efficace contraddittorio attraverso una raccolta di interviste e materiali di repertorio, scegliendo un approccio super partes di natura giornalistico che sconfina nell’inchiesta. Il regista e la sua squadra optano per una confezione decisamente classica, impostata su un modello e uno stile piuttosto classici e al servizio del racconto. Il ché finisce con lo spostare l’attenzione sul cosa piuttosto che sul come, con i contenuti che diventano di fatto il motore che muove il tutto.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 5

3.6

Tags: Netflix