Rocky Giraldi – Delitto a Porta Portese: recensione
Sequel del filone di Corbucci con protagonista Nico Giraldi, Delitto a Porta Portese è un omaggio a quel cinema comico che ha segnato gli anni '70.
L’ispettore Giraldi è tornato: stessa tuta da meccanico consumata, stessi capelli indomabili, stesso sex appeal da donnaiolo. Solo che non è il Nico che abbiamo conosciuto nei film di Bruno Corbucci, ma suo figlio Rocky, nome che riporta alla nota passione del padre per l’attore Sylvester Stallone.
Rocky Giraldi – Delitto a Porta Portese è un film di Mirko Alivernini, sequel diretto del filone di pellicole dedicate l personaggio di Nico Giraldi, diventati negli anni ’70 un cult del genere poliziottesco comico. Il film, produzione Mainboard Production, vede protagonisti i figli dei celebri personaggi di Corbucci, Rocky Giraldi e Bombolino, erede del compianto Franco Lechner, e la partecipazione “affettuosa” (come si evince dai coloratissimi titoli di testa) di Massimo Vanni nei panni dello storico Gargiulo e Tony Morgan che ritorna anche in questo film come “Gnappetta”.
Nato come un omaggio al cinema di Corbucci, Rocky Giraldi vuole essere un esempio innovativo di cinema confezionato non secondo gli stilemi standard del cinema mainstream, ma come un prodotto differente fin dalle premesse realizzative: girato con uno smartphone in circa tre mesi, non si propone come un film da fruire per diletto, ma per rimembrare i bei tempi del cinema sessantottino italiano. Attraverso la collaborazione di volti noti del filone poliziesco corbucciniano, Mirko Alivernini intende rivolgersi a chi quel cinema lo ha vissuto e che è cresciuto con quel genere ormai quasi del tutto desueto, perché altrimenti vedere Rocky Giraldi – Delitto a Porta Portese significherebbe cadere in un vortice spettatoriale di noia e confusione.
Rocky Giraldi: l’eredità di un grande nome
La storia si concentra e si articola intorno ad un efferato omicidio avvenuto nel famoso mercato romano, di cui Rocky Giraldi (Andrea Misuraca) è chiamato ad occuparsi per capirne le dinamiche e scovare il colpevole. Sua fidata spalla, comica ma soprattutto funzionale all’evolversi della vicenda, è Bombolino (Gianfranco Zedde), identico al padre Bombolo per quanto riguarda movenze e aspetto da “ultimo fra gli ultimi”.
Tra gag e battute inesperte e non sempre riuscite, i due si troveranno immischiati in qualcosa di più grande che porterà a ribaltare completamente la situazione iniziale e che condurrà Giraldi ad una risoluzione finale inaspettata e sconvolgente.
Un omaggio mal riuscito
Rocky Giraldi – Delitto a Porta Portese è un film distrattamente artigianale, che si ritorce contro se stesso e contro le innovative premesse che vuole perseguire alla luce di una regia molto blanda e non pregnante: le inquadrature sghembe che vorrebbero essere un riferimento affettuoso al cinema corbucciniano, diventano degli esempi blandi di fotografia dilettantesca e mal realizzata. I colori estremamente saturati, che dimostrano le limitazioni del mezzo (lo smartphone), l’audio asincrono dovuto al doppiaggio a posteriori rendono il film un mescolamento di immagini senza pienezza autoriale. Delitto a Porta Portese vorrebbe essere un omaggio contenente un’ironia squisitamente disinteressata, ma che alla fine non riesce ad imporsi come vorrebbe e, anzi, ottiene l’effetto opposto, diventando un prodotto aleatorio che potrebbe essere non apprezzato anche da chi quel cinema lo ha amato. La fotografia, dunque, risente delle forti limitazioni del dispositivo utilizzato, che da una parte rende quell’estetica rozza propria del genere, ma che dall’altro lato penalizza ulteriormente un film che già pecca da moltissimi punti di vista.
D’altro canto la recitazione e la comicità sono fuorvianti e a malapena riescono a strappare un timido sorriso: se la recitazione è scarna, spenta e svalutata, la comicità è così esagerata da diventare talvolta imbarazzante, avvalendosi di stereotipi che appesantiscono e rendono quasi intollerabile la visione.