Ritorno a Seoul: recensione del film di Davy Chou

Un caso fortuito, il ritorno a casa, la riscoperta delle proprie origini. Questo e altro è Ritorno a Seoul, l'intenso dramma diretto da Davy Chou al cinema a partire dall'11 maggio 2023.

Il cinema migliore è puro nelle intenzioni e denso come la vita. Non è ragionevole attendersi risposte semplici da Ritorno a Seoul, regia di Davy Chou, nelle sale italiane l’11 maggio 2023 dopo il passaggio felice a Cannes 2022, Un Certain Regard. Un film che nasce al punto d’intersezione tra una verità umana forte e la carica espressiva di un linguaggio capace di domarla. È la sola formula segreta che il cinema conosca per accendere la sua magia, va detto che funziona, meno spesso di quanto si vorrebbe, ma funziona. E se la regola è la pigrizia delle ambizioni e il conformismo delle proposte, questa è davvero un’eccezione felice. Nel cast, tra gli altri, Park Ji-min, Oh Kwang- rok, Guka Han. Una distribuzione I Wonder Pictures in collaborazione con MUBI.

Ritorno a Seoul: un volo cancellato e parte l’esplorazione di un passato negato a lungo

Ritorno a Seoul; cinematographe.it

Frédérique (Park Ji-min), in arte Freddie e tutti la chiamano così, arriva a Seoul “per sbaglio”. Quello che la ragazza racconta ai genitori in Francia – adottivi perché d’origine è coreana ma ha lasciato il paese che era troppo piccola per ricordarne anche il particolare più insignificante, avrebbe aiutato – è che le hanno cancellato il volo per Tokyo e ha dovuto arrangiarsi. Era d’accordo con la madre adottiva che in Corea ci sarebbero tornate insieme, perché la verità si sopporta meglio in due. Il caso (il volo cancellato non era una bugia) e il disperato bisogno di pienezza di Freddie hanno avuto la meglio sul buon senso.

Non le occorre molto tempo per familiarizzare con la gente del posto, in particolare con Tena (Guka Han), che da buona e premurosa amica le consiglia di mettersi subito in contatto con il centro Hammond, il più importante centro adozioni della Corea del Sud, stimando molto probabile un suo passaggio da quelle parti all’epoca dell’adozione. È così infatti; senza ottenere dettagli più concreti sull’identità dei genitori, a Freddie viene riconosciuta la possibilità di inviare un messaggio a mamma e papà. Lui (Oh Kwang-rok) risponde immediatamente, lei no. Ritorno a Seoul è la storia di Freddie che scrive ai genitori biologici e aspetta una risposta, perché sente che senza quella risposta la sua vita non può partire. Una non basta, servono entrambe.

La seconda tarda ad arrivare, non che con il padre le cose vadano meglio, anzi, è piuttosto vero il contrario. L’uomo beve troppo, non sa o non desidera, una volta ristabilito il contatto, mantenere la giusta distanza e così Freddie si ritrova soffocata da un sentimento più grande di lei. Non c’è niente, della cultura e del sentimento coreano, che senta vicino, eppure la forza d’attrazione del posto è indiscutibile. Freddie, perché Ritorno a Seoul è una cronaca esistenziale in capitoli e ogni capitolo è un anno diverso nella vita della protagonista, costruisce un’esistenza sdoppiata tra la Francia e la Corea del Sud, consumandosi nell’attesa della risposta della madre assente. Una madre demonizzata e insieme glorificata; finché non arriva e chissà se mai arriverà, la maledetta risposta, la ragazza neanche ci prova a definirsi. Freddie mortifica tutti quelli che le sono intorno, padre compreso, rifiuta la possibilità dell’amore, si perde nel rumore, nella musica, nelle feste, nel sesso facile, convinta com’è di non meritarsela, una vita vera.

L’identità è tutto nel cinema di Davy Chou

Ritorno a Seoul cinematographe.it recensione

È francese Freddie quando arriva a Seoul, giusto in tempo per improvvisarsi coreana, ma solo per un po’. Tenterà un’ingenua retromarcia, accorgendosi troppo tardi che non è così che funziona. Finirà schizofrenicamente a metà strada, parte coreana, parte francese, in fondo nessuna delle due. L’identità è tutto, nel cinema di Davy Chou. L’identità ha un dentro e un fuori: lingua, etnia e cultura sono l’esteriorità di un problema complesso, le cui verità contano più di qualunque cosa stia scritta su un passaporto. Freddie fruga nel suo passato alla ricerca della chiave che le consenta di esorcizzare il dolore che si porta dentro. Dolore, qui vale come sinonimo di incompiutezza, parzialità e vuoto. Freddie, è stato giustamente evidenziato altrove, ha un vuoto enorme dentro di sé e prova a colmarlo.

Ritorno a Seoul non racconta il doppio viaggio della protagonista, il viaggio materiale e quello sotterraneo, inseguendo il facile miraggio di un lieto fine. Piuttosto si concentra sui saliscendi, le fatiche, i compromessi e gli inevitabili aggiustamenti che modellano il processo di costruzione del sé, affidandosi senza riserve al magnetismo e all’intensità della giovane, brava, Park Ji-min. Si concede una caratterizzazione tanto più onesta, quanto più aperta all’esplorazione dei lati meno edificanti della protagonista. Freddie è egoista, incostante, arrogante e insieme vulnerabile e dolcissima. Il film le sta accanto sempre, nel bene e nel male, mostrando la profondità del suo disagio, assolvendola ma senza scordarsi dei difetti. La pienezza è un ideale seducente e forse al di là delle possibilità di ciascuno ma, come spesso capita, il viaggio preso come tale ha una ragion d’essere che ne giustifica anche il più piccolo, insignficante, frammento. Ritorno a Seoul racconta la verità. La conoscevamo già, ma è bello sentirsela ripetere con questa forza e questa creatività.

Ritorno a Seoul: conclusione e valutazione

Le piccole parentesi di sospensione, ce ne sono, che spezzano il ritmo del racconto per raccontarci qualcosa di più dell’emotività difficile di Freddie; forse qui si misura la capacità di Ritorno a Seoul di armonizzare l’identità come fatto socio-culturale e i suoi risvolti più intimi, l’azione e la psicologia. Se il film riesce, il film riesce maledettamente bene, è perché non si appiattisce su un’esposizione didascalica e macchinosa, preferendo affidarsi a tutto ciò che è essenzialmente cinematografico, la scorza ruvida del montaggio, l’enigma di un volto e l’eloquenza del non detto, lo stordimento consapevole della bella colonna sonora, quando si tratta di svelare le sue verità. Il cinema è bello quando il cinema è puro. E la vita, densa.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4.5

4.3