Reflection in a Dead Diamond: recensione film di Cattet e Forzani
Il cinema di genere disegnato come un fumetto noir degli anni '60; la coppia Cattet e Forzani dopo i cult Amer (2009) e Lacrime di Sangue (2013) torna al cinema dal 3 luglio 2025 con Reflection in a Dead Diamond. Presentato in anteprima alla Berlinale 75 e distribuito in tutte le sale da Lucky Red.
Hélène Cattet e Bruno Forzani: quando la visione è complessa da riuscire a disturbare l’essenza che ci tiene in ostaggio; Reflection in a Dead Diamond: quando è il cinema ad attrarre, collocandosi nelle persuasioni individuali di analisi inconsce, stimolate dall’impressione del sé più crudele. Tentazioni che solo il movimento cinematografico riesce a sperimentare e incitare, modellando traduzioni di linguaggi universali sui campi più perturbanti: i pensieri umani.
Reflection in a Dead Diamond diretto da Cattet e Forzani è, innanzitutto, un metodo matematico che congiunge, tra le sue parantesi, ortodossie irrequiete, fedeli a un unico papato: l’illusione insistente e inesistente della paura.
In Reflection in a Dead Diamond torna la fantasia della paura

Reflection in a Dead Diamond è un film esigente che può essere sottoposto a critica unicamente se si osservano le impostazioni che lo diversificano dall’ammasso che l’industria propone.
Non possiamo semplificare citando l’Università dell’horror; è necessario sottoporre ad esame dettagliato l’irriverenza sperimentale della fantasia vera, un Virgilio che naviga tra la riproduzione fittizia della realtà e la fissità sgradevole dell’irreale. Il gioco è saper distinguere le varie sequenze dall’impatto meccanico dell’autopsia eseguita da chi ha solo lo scopo di impressionare: il montaggio.
Lungometraggio per metà francese e per l’altra belga; necessaria precisazione per indicare l’eredità dell’eleganza illogica di chi ha descritto le vertigini macabre di un definito contesto audiovisivo; sinossi tra il concetto horror screpolato da inesistenze paradossali e le sue forze attrattive, residenti in un pensiero affascinato e affascinante a tal punto da dipendere da ciò a cui assiste.
A voi il cinema di genere.
Materia narrativa e sperimentale

Il genere che ha reso Cattet e Forzani esecutori di vari cult (Locarno 66 – L’étrange couleur des larmes de ton corps) è quello dell’improponibile. Occhi languidi tesi su punte di lame e corpi che si frantumano trasformandosi in lucidi pezzi di vetro; anticamere di situazioni irripetibili incastrate in una sensibilità tanto tenera quanto feroce. È la potenza dell’apparenza illusiva e illusoria di un’immagine che si concede all’inganno solo se è consentito dalla nostra immaginazione.
Descrivere Reflection in a Dead Diamond come miglior proposta della Berlinale 75, osare nella considerazione di una delle uscite più interessanti dell’estate o semplicemente andare a guardare un lungometraggio seriale che cerca di riproporre in sequenze impaginate alla Max Bunker un fumetto nero degli anni ’60. Un lungometraggio che per locuzioni rimarca l’ambiguità attuale e sadica come le proposte di Seijun Suzuki ma con più sospetti e senza soluzione, circoscritta tra vittime, mostri e ombre.

Non c’è genialità, c’è corrispondenza tra l’idea autoriale e la messa in scena. Quando questo connubio riesce, c’è alla base una cultura osservativa e assertiva rispetto alle ambizioni di due registi che chiaramente hanno elaborato scritture conformi al cinema di genere senza tradire la propria idea. Nel film questa idea appare: il riflesso dell’acqua che si espande sotto la rete disegnata dal sole; il calore che brucia, il corpo che si ossida e si rende colla tra i due elementi. Una perversione logica che acquisisce materia narrativa e sperimentale di origine investigativa euro-cinematografica macchiata dai virtuosismi di uno splatter modernizzato.
Reflection in a Dead Diamond: valutazione e conclusione
Ma la lama, in queste visioni, affonda ed echeggia nel cinismo da primo piano, le palpebre celano la sensazione di perdizione e mostrano pupille bianchissime che nutrono i labirinti visivi di un cinema che in questo caso, è eccellentemente riproposto. Sia chiaro il paragone sussiste quando emerge l’eredità stilistica: ed è proprio questo il caso.
Bruno Forzani è il dissenso sperimentale; la sua autorialità evade dalle descrizioni e insegue una versatilità in continua trasformazione. Hélène Cattet è la sofisticazione dell’immagine, è colei che tempera le punte delle matite, che perfeziona l’irrealtà cinematografica mascherandola perfettamente.
Due considerazioni di due direttori che si intercettano a distanza. La duplicità introspettiva stabilisce una simbiotica capacità immaginifica che contestualizza la sensazione di un buon cinema che ancora può esistere sostituendo la presunzione di un futuro senza archivio con una visione eclettica, il perturbante, il suono ingegneristicamente composto, il singhiozzo sintattico dell’imprevedibilità scenografica. Ricerche tra l’inaudito e il conservatorismo filmografico, le inversioni dinastiche di nuove regie percosse da inventive d’ispirazione sconosciute.
Finalmente!
Reflection in a Dead Diamond diretto da Hélène Cattet e Bruno Forzani è stato presentato in anteprima alla Berlinale; distribuito da Lucky Red è al cinema dal 3 luglio 2025.