Red Valley, siamo quello che ascoltiamo: recensione del documentario Prime Video con Marracash (e gli altri)

Marracash riceve all’Ariston il Premio Tenco e dice la sua in un documentario nel quale, insieme ad altri artisti, riflette sull’impossibilità di uscire dal ruolo d’artista, sulla vanità della fama, sul rifiuto di guardare in faccia la realtà e su molti altri temi.

Il 20 ottobre 2022 Marracash riceve al Teatro Ariston, per il suo ultimo album Noi, loro, gli altri, il premio Tenco, che sancisce la rottura definitiva (e a lungo attesa) della distinzione valoriale tra rap e cantautorato. Nel frattempo, un bel documentario da poco disponibile su Prime Video raccoglie alcune considerazioni sue – e di altri artisti, rapper e no – intorno allo stato di salute della musica, e quindi, per analogia o differenza, sulla nostra società. Perché, se è vero che ascoltiamo la musica di continuo, spesso non siamo la musica che ascoltiamo. Che è molto meglio di noi. Ad eccezione delle pari opportunità: alle donne, ancora, nella musica come nella società, non si perdona con la stessa leggerezza quanto è concesso a un uomo – cantare ‘male’, ad esempio – e non è un caso, come lo stesso regista fa notare agli intervistati, che nel documentario non intervenga nessuna cantautrice

Red Valley: la critica radicale dei rapper ‘moralisti’, gli ultimi socratici 

‘Red Valley’ è un documentario diretto da Olmo Parenti, disponibile alla visione su Prime Video.

Sul palco allestito per il Red Valley, il più grande festival agostano di musica – elettronica, pop e rap – in Sardegna, quest’estate sono passati molti artisti: Marracash, Blanco, Irama, i Pinguini Tattici Nucleari, Fabri Fibra. Un documentario del talentuoso Olmo Parenti, giovane regista che si è fatto apprezzare proprio questo anno con One Day One Day sul tema del capolarato ne raccoglie alcune riflessioni perché, come osserva acutamente Paola Zukar, manager di Marracash, Fabri Fibra e Madame, nonché una delle più colte esperte di hip hop internazionale e nostrano, “i più grandi rapper sono anche i più grandi moralisti… se no, chi è un grande moralista oggi? Li cerchi in politica, li cerchi tra gli influencer, ma non li trovi. I temi del rap sono scomodi, perché scomoda è la vita… nel rap trovi risposte che nessun altro ti dà”. 

E, per “moralista”, Zukar intende il filosofo morale, di discendenza socratica: il pensatore radicale che scrutina sé stesso e la società per scovarne vizi, malcostumi, distorsioni percettive e interpretative. Il rap ancora oggi, ma molto meno rispetto al passato, e di questo ne è appunto dimostrazione il premio Tenco conferito a Marracash per il miglior album cantautorale, quel Noi, loro, gli altri che gli è valso svariati dischi di platino e un tour trionfale appena conclusosi, è raccontato in modo approssimativo, spesso ancora meno compreso: l’ascolto a una canzone rap presuppone l’accesso a un codice simbolico in cui il piano della lettera non esaurisca il significato del testo

Red Valley: l’illusione del successo, che scivola sempre via

Il rap esige un ascolto attivo e uno scatto interpretativo che non tutti hanno voglia o sono in grado di fare. Lo sa bene Marracash che, sebbene ora goda di un riconoscimento unanime da parte di critica e pubblico, non nasconde la frustrazione di sapersi apprezzato, più che per la critica sociale che propone attraverso le sue canzoni, per la componente lirica della sua poetica, l’analisi dei contrattempi affettivi e delle dissonanze relazionali, l’esplorazione di una mente assediata da pensieri tormentosi che spesso inibiscono, ritardano, schermano il desiderio, l’amore o l’odio – lui ci ha insegnato che, se non sono la stessa cosa, spesso provengono, però, da una stessa sorgente – che restano compressi, in fondo non del tutto assorbibili dal linguaggio comune, impoetico. Resta indietro l’afflato civile, che pure permea il suo lavoro: “Mi sorprendo sempre che c’è un’altra parte, che è quella di ribellione, in cui i ragazzi ti seguono e non ti seguono perché, se vai a mettere in discussione il sistema, il denaro, se vai a risvegliare quel tipo di coscienza, va veramente bene?

Il rapporto con il successo è ambivalente, e nessuno più dei rapper riesce a evocare il paradosso di un riscatto agognato, e da una parte esibito, nell’infrangersi di fronte alla vanità di ogni conquista e di ogni ricchezza intesa in senso retributivo e quantificabile. Quel che si è rincorso a lungo – il riconoscimento professionale – non corrisponde all’aspirazione alla pienezza che, dalla mancanza originaria, ha sospinto il movimento per raggiungerlo: “Quando ho scritto ‘Dubbi’, ho pensato che dovessi chiedermi da dove venisse tutta quell’insoddisfazione che provavo, nonostante il successo. Quando fai un bilancio, spesso il risultato è che quello che hai non è proprio quello che volevi. Un lavoro come quello dell’artista, poi, non è come gli altri, diventa la tua vita ed è difficile uscire dalla tua vita, anche se a volte se lo vuoi”.

Red Valley: le parole contano, le parole cambiano

Gli fa eco Fabri Fibra, quarantasei anni compiuti pochi giorni fa, venti di ininterrotta rilevanza sulla scena, quando, riflettendo sulla serie Gomorra, nota che “lì c’è la rincorsa al potere, ma nessuno ha mai il potere: il potere è come la celebrità, si sposta di continuo e nessuno lo possiede mai”. Sulla responsabilità del suo lavoro, sull’importanza che sempre hanno le parole, osserva laconico ma incisivo: “Anche non dire nulla è dire qualcosa”. 

Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari lo segue sulla responsabilità del cantautore: “Se fai musica pop, significa che vuoi arrivare alle masse e allora devi stare molto attento a ciò che dici e a come lo fai”. Il collega ‘pinguino’ Elio Biffi, grande sorpresa del documentario per capacità argomentativa e sapienza retorica, riconosce la nostra necessità di ritagliarci uno spazio, nella menzogna di un’autorappresentazione gonfiata per compensare l’inconsistenza delle nostre esistenze e dei nostri legami: “Ci raccontiamo come in grado di fare qualsiasi cosa, ma le nostre vite sono sempre più incasellate e bloccate in sé stesse, e simili l’una all’altra. Siamo una società fissata con le esperienze straordinarie. Vogliamo godere ed esibire per avere un peso, ma la realtà è che, in una società senza più punti di riferimento, questo peso non lo abbiamo”. Salvo, forse, proprio gli artisti, le cui parole, se ascoltate con attenzione e non solo lasciate scorrere come sottofondo di attività quotidiane, possono spostare qualcosa, anche soltanto insospettirci intorno alla vera natura di certe lusinghe che crediamo promesse di paradisi reali, ma altro non sono se non chimere di vanità. 

Regia - 4
Fotografia - 4
Sonoro - 5
Emozione - 4

4.3