Roma FF17 – Ramona: recensione del film di Andrea Bagney

Un film in cui vita e finzione sono sbilanciate, Ramona poteva certamente fare di meglio, ma in fondo è solo un'opera prima!

Ramona, come la canzone di Bob Dylan, come l’opera cinematografica di Andrea Bagney presentata in Concorso alla 17ma Festa del Cinema di Roma, che si interfaccia con la vita tentando di confondersi con essa. Cos’è, dopotutto, un film se non l’estensione dell’esistenza stessa? Anzi, più precisamente è l’organizzazione di ciò che abbiamo vissuto, trasposizione fisica e tangibile di una realtà che è rimasta irrimediabilmente indietro e di cui non ci siamo resi pienamente conto nell’atto della creazione. 

Utilizzando un’inquadratura in 4/3 e suddividendo la narrazione in cinque capitoli, Ramona si piega agli stratagemmi grafici e stilistici già visti in altri film, senza tuttavia ergersi a opera superiore e mostrando, invece, solo qualche spunto che resta però sempre sul fondo. La vicenda si avviluppa attorno a Ramona (interpretata da Lourdes Hernández), una ragazza dall’identità indefinita: una confusione che sembra invadere anche il film, impoverito da personaggi stereotipati e privi di spessore.
È lei il fulcro di tutto, l’ago della bilancia all’interno di un ménage à trois ideologico che si consuma tra le strade di Madrid e che inizia all’interno di un bar. Il primo incontro tra Bruno e Ramona cerca di ricalcare quelle storie da grande schermo, con lui che si dichiara dopo una manciata di ore trascorse insieme, esplodendo in un “sono innamorato di te”, asserendo addirittura che non sia possibile che lei stia con un altro, “deve esserci un errore”.

Ramona: una vita in bianco e nero e un film a colori

Ramona recensione cinematographe.it

E, nonostante la fuga della ragazza, alla fine il destino li farà incontrare sul set il giorno dopo: regista in cerca della sua protagonista lui, attrice in erba lei. Sarà l’inizio di una relazione turbolenta, che li travolgerà senza che se ne rendano davvero conto. A turbare lo spettatore è l’isterismo con cui Ramona affronta le svariate situazioni: la divisione dell’esistenza in capitoli si traduce in una sintassi comportamentale fin troppo elementare, quasi apatica: un’autostrada fatta di percorsi abbastanza scontati e privi di sentimenti. D’altro canto spesso la protagonista, narrando si sé, ammette di aver fatto certe scelte per capriccio. Viene dunque spontaneo chiedersi: è questo ciò che siamo?

Se della pellicola gradiamo il modo lapalissiano con cui si chiude un capitolo per aprirne un altro, senza per forza vincolarsi all’idea del “per sempre”, questa stessa scelta ci lascia basiti, lasciandoci annegare nella disarmante ovvietà del genere umano e nel suo lato più inconsistente, egoista, apatico.

Si mostra interessante la scelta di utilizzare il bianco e nero per filmare la vita reale, espediente che ci trascina in inquadrature che emulano una visione limitata della prospettiva. Andrea Bagney indugia in primi piani, intrappola nell’obiettivo le passeggiate in solitudine, la paura ma anche la facilità del cambiamento, la voglia di inseguire chi si ama. In quest’ultimo caso, i cunicoli della metropolitana regalano l’idea di una distanza da colmare con facilità, nonché un vicendevole sguardo alla pari tra Bruno e Ramona, ma interessanti sono anche le inquadrature negli angusti spazi domestici: le scene in cui Ramona parla col fidanzato Nico senza accorgersi del fatto che lui sia, nel mentre, andato in un’altra stanza e che quindi non al stia affatto ascoltando. Una scelta registica che, in tal caso, sottolinea l’incomunicabilità – non sempre volontariamente negativa – all’interno di una coppia di lunga data, nonostante l’evidente affetto.

In Ramona, però, la finzione è sempre a colori. Le scene sono prestabilite o alterate da copioni modificati al momento che, al netto della rappresentazione grafica, risultano palesemente falsi. L’interpretazione di Lourdes Hernández non muta nel passaggio tra finzione e realtà: non vuole davvero fare l’attrice e questo lo si percepisce e spezza ulteriormente la magia. Il vero regista della sua vita è Bruno, lui sa come andrà a finire e quali mosse fare e il resto si muove in sintonia al suono di una forzatura che di fatto non sembra reale.
Si palesano, alla luce di tale ambiguità, uno sbilanciamento e una confusione nel modo di trattare la realtà e la finzione e soprattutto nel modo di rappresentarle. La vita vera dovrebbe infatti stupire, slegarsi dall’ovvietà, finisce invece per incasellarsi in rigidi schemi narrativi, al punto che nel capitolo finale vita e film si intrecciano e la fine di quest’ultimo corrisponde all’inizio di un nuovo capitolo di cui non ci è dato sapere nulla se non l’inizio o, meglio, un nuovo inizio, uno dei tanti. Perché si ricomincia, di fatto, ogni giorno, mentre si muore. Con l’incertezza che invade tutto e l’amore che non si può mai arrestare.

Lourdes Hernández, nota in patria con lo pseudonimo di Russian Red e per la sua carriera da cantautrice, dà il massimo perlopiù nella scena in cui si esibisce sul palcoscenico: suo habitat naturale. I dialoghi non rendono abbastanza giustizia e la sceneggiatura non riesce pienamente a regalarci uno squarcio sull’instabilità del nostro tempo e sulla crisi identitaria che chiunque potrebbe attraversare. Ramona sembra fissarci in uno schema narrativo e questo è il suo errore, quello che lascia tutto sulla scia del non detto. Tuttavia non va dimenticato che si tratta solamente di un’opera prima: Andrea Bagney saprà scavare dentro questi angoli ciechi, illuminandoli e lasciando intatta, invece, la flebile e intima ironicità che si affaccia sulla riflessione e che di fatto rende Ramona un film che si lascia guardare senza annoiarci troppo!

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2