Preparativi per stare insieme per un periodo indefinito di tempo: recensione del melò-thriller di Lili Horvát

Le immagini di rara eleganza del secondo lungometraggio della regista Lili Horvát conferiscono consistenza serica e pulviscolosa a un dramma di solitudine contemporanea, tra ossessione erotica ed elegia d'amore a Budapest.

Il titolo, lunghissimo e seducente, è fuorviante: Preparativi per stare insieme per un periodo indefinito di tempo, il secondo lungometraggio della regista ungherese Lili Horvát (1982) – il primo, The Wednesday Child, sulla ripetizione intergenerazionale dello schema abbandonico, è del 2015 –, di preparativi ne mostra pochi.

La partenza della sua protagonista, la neuroncologa quarantenne Márta Vizy, dal New Jersey, avviene repentinamente: a un convegno incontra un collega suo connazionale, János Drexler, se ne innamora, decide di seguirlo a Budapest, città lasciata parecchi anni prima. L’appuntamento viene fissato un mese dopo il primo (e unico) incontro, ad una precisa ora, in un preciso punto del Ponte della Libertà, lato Pest. Quando Marta si presenta, però, l’amato – anche se il participio passato implica la presenza del corpo del tempo, che qui non è vissuto, ma solo immaginato, interiorizzato – sembra non riconoscerla.

Preparativi per stare insieme per un periodo indefinito di tempo: racconto di grande raffinatezza visiva di una solitudine contemporanea

Preparativi per stare insieme per un periodo indefinito di tempo
‘Preparativi per stare insieme per un periodo indefinito di tempo’ è il secondo lungometraggio, ora al cinema, della regista Lili Horvát.

La domanda da cui il film prende avvio e che lo muove fino alla sua conclusione è se l’incontro fatale – “in quarant’anni di vita non mi è mai capitato di incontrare chi stavo aspettando da sempre” – sia accaduto nella realtà o nella fantasia dell’eroina romantica, una donna brillante che ha un lavoro che l’assorbe – “7 giorni su 7“, precisa al suo psicanalista –, un ex senza nome, due buone amicizie, una casa e mezzo, e null’altro di più. Il suo viaggio di ritorno – un nostos, come da tradizione letteraria europea – nella terra d’infanzia viene determinato dall’urgenza di cogliere un’occasione di cui sente che la vita l’ha fino a quel momento privata, l’occasione di amare.

Intorno all’emergenza di un sentimento spiazzante, deformazione della mente o dato oggettivo, irruenza determinata da un lungo differire o taglio sovversivo rispetto all’eterno ritorno di un quotidiano non-incontro, Márta costruisce, non sulle macerie ma sulle voragini di quella di prima, la sua nuova vita, che finisce per coincidere, simmetricamente, con la vecchia, con il recupero di condizioni di esistenza e di lavoro abbandonate per concedersi il e al sogno americano, di per sé cannibalizzante. Ma quel sogno – la carriera; l’Occidente – non era, forse, il suo sogno. Non era il desiderio fuori serie, il desiderio suo singolare.

Preparativi per stare insieme per un periodo indefinito di tempo: tra mélo e thriller, un’indagine sulla fame d’amore e il bisogno di riconoscimento della femminilità, al di là dei valori maschili

Natasa Stork, l’attrice protagonista del film, è nata a Budapest nel 1984.

La regista, opacizzando in una patina di nebbia serica, sigillata come da uno strato di polvere, spinge lungo un alveo discontinuo, ora più ora meno sinuoso, il racconto dolente di una solitudine, di un vuoto d’affetti nel quale molte donne contemporanee potranno riconoscersi e tra queste, soprattutto, le donne che sembrerebbero di successo. Márta ha sacrificato al lavoro gli affetti o è così brava nel suo lavoro perché gli affetti mancati le hanno lasciato molto tempo libero?

Nell’ospedale di Budapest in cui chiede di poter lavorare – e con un curriculum come il suo è impossibile rifiutarle un’assunzione – vige la legge dell’approssimazione e l’anarchia paradossalmente sistematica della corruzione. Márta v’insinua la sua preparazione, il suo senso di responsabilità, la serietà della ‘secchiona’ che ha lottato per emanciparsi dal malcostume e dalla sciatteria. Tuttavia, pur nella furia senza recriminazioni con cui ha inseguito la promessa di un legame, anche se minata dal disconoscimento altrui, pur nella ricerca di cause razionali – un disturbo della personalità? – che riconducano a malfuzionamenti cerebrali l’operazione mentale di carattere allucinatorio apparentemente attuata, resiste l’intuizione primaria, la vertigine originaria che ha scatenato lo sbandamento poi assecondato con minuziosa, ossessiva programmaticità.

Preparativi per stare insieme per un periodo indefinito di tempo è un film che si può leggere in molti modi: come un’interrogazione intorno ai confini tra sogno e realtà, tra mente, quale spazio sconfinato, quasi cosmico, in cui si producono fatti psichici immateriali, e cervello, scatola confinata e confinante in cui i fatti psichici trovano (o non trovano) una radice organica; si può leggere come elegia d’amore a Budapest, protagonista malinconica, quanto Márta, di questa storia. Ma, in fondo, si tratta soprattutto di un’indagine intorno alla femminilità, quella incarnata da Márta, sì, ma anche quella femminilità che è soprattutto posizione psichica, grammatica d’amore, fame di riconoscimento, bisogno di superamento dei valori espressi dalla sola potenza (e rigidità) fallica, sacrificio di sé e di ciò che si è, secondo codici maschili, con pazienza e bravura costruito: si può perdere tutto, in un attimo, per inseguire una possibilità d’amore – sia essa chimerica o concreta: non è questo il punto –, perché si sa, forse solo da femmine, che quel tutto, senza amore, è un niente.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.7