Pitch Perfect 3 – recensione

Il terzo capitolo della storia delle Barden Bellas unisce comicità e musica in una pellicola a tratti imperfetta, al cinema dal 14 Giugno 2018.

Sono adulte, non sanno ancora bene cosa sia l’intraprendenza, ma amano sempre cantare e soprattutto farlo insieme, che si tratti di esibirsi per sfidare un gruppo universitario o per fronteggiare una vera band dalle voci impressionanti accompagnate da ottimi musicisti. Le Barden Bellas non si lasciano schiacciare da nulla, giusto forse dalla mancanza di un lavoro appagante, da una vita sentimentale assente e da un’età che avanza senza averle condotte a nessun traguardo considerevole. Coscienti di aver perso il piglio giovanile e totalmente alla deriva nella vita, come nel film, tornano sul palco le originarie protagoniste di Pitch Perfect, giunte al loro terzo capitolo.

I giorni delle Barden Bellas sono oramai un ricordo passato, anche se le ragazze non mancano di vedersi ogni qual volta se ne presenti l’occasione. Scoraggiate dallo sbandamento che le loro strade hanno preso, per ritirarsi su, il gruppo di voci femminili, si concede un ultimo tour in diverse città europee, per sentirsi ancora una volta motivate e riuscire così a riscattarsi, unendo le forze come una vera famiglia sa fare. Le sfide si riveleranno però più complicate del previsto, non tanto sul palcoscenico, ma lontane dalle luce dei riflettori.

Pitch Perfect 3 – Tra un’esibizione e l’altra, un nonsense comico e impensabile

pitch perfect 3 cinematographe

Era doveroso dare alla Barden Bellas un saluto finale, o meglio, dare un taglio netto a ciò che le teneva legate agli anni da studentesse. Una chiusura definitiva, la fine di un cerchio che ha portato le ragazze dalla loro unione tra i banchi del college alle disillusioni della vita adulta. Ma volontà di proporre una narrazione che riuscisse a funzionare al di fuori degli schemi del primo film si era rivelata già come una nota stonata con la produzione della seconda pellicola della trilogia che, pur riservando qualche risata, si presentava del tutto inferiore alla comicità e al senso di affetto andatosi a creare con la formazione delle Bellas. Per continuare dunque era necessario pensare in grande, esagerare, arrivare a dare forma a Pitch Perfect 3 allontanandosi completamente dalle sue radici.

È quindi così che scorre sullo schermo il film di Trish Sie, al timone dopo il passaggio di Elizabeth Banks e affidatasi alla sceneggiatura di Kay Cannon, che ha curato la messa a punto di tutte e tre le storie della saga. Una comicità che oltrepassa il nonsense e dimentica il canto, diventa commedia demenziale e riduce i momenti di spettacolo canoro al limite, pur offrendo quelle poche volte pezzi sempre ben eseguiti e al passo con i tempi. Il canto diventa appendice per raccontare altro, per scadere nell’assurdo, giocando sempre con l’ironia illogica delle battute delle ragazze e sfruttandone la perfetta coesione come gruppo, talmente fuori contesto in questo terzo film da far quasi dimenticare i film precedenti, rendendo questo Pitch Perfect 3 un lavoro a sé.

Pitch Perfect 3 – Canto, action e commedia, l’improbabile forma del film

pitch perfect 3 cinematographe

Perché pur non avendo raggiunto la completezza o la soddisfazione del primo, Pitch Perfect 2 aveva comunque mantenuto il senso della passione delle ragazze, campionesse di canto a cappella e in cerca anche in quel momento di dare il proprio meglio. Ma, avendo fallito in quell’occasione, sembrava quasi impossibile riuscire a dare un senso autentico al terzo capitolo, che sarebbe quindi potuto esistere soltanto in questa sua nuova, anomala struttura. Decisamente folle e con una commistione di generi che per nulla sembrano sapersi adattare tra loro, Pitch Perfect 3 è l’insensatezza fatta pellicola, che non rispetta nessuno dei canoni con cui era partito alla sua origine, sfidando l’evoluzione improbabile delle ragazze che va manifestandosi nel racconto.

Ed è perdendo che il film vince. È la consapevolezza che non sarebbe potuto essere nulla di più, quindi marca il paradosso della comicità – e dell’assoluta centralità di Ciccia Amy – e la quasi assenza del canto come argomento principale. È l’aver puntato, commettendo innumerevoli errori, su un intreccio inverosimile e per nulla armonioso nella composizione della storia che, vedendo la difficoltà del secondo prodotto, sentiva di dover stravolgersi per poter ripresentarsi diversamente al pubblico. Questo non toglie la stragrande incoerenza che rende problematico l’incastrarsi e l’agire dei personaggi, ma permette allo stesso tempo di trovarsi davanti ad un film incredibilmente spassoso proprio in virtù delle sue mancanze. Un ultimo canto coperto da esplosioni di barche e complicate relazioni genitoriali, sfiducia nel presente adulto e paura del prossimo futuro. Che poi pensando alle Bellas… Sicuri che sia poi proprio l’ultimo?     

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.8