Peter Von Kant: recensione del film di François Ozon
L'esaurimento d'amore in una pellicola francese con due candidature ai Cesar e una ai Lumiere Awards. Al cinema dal 18 maggio 2023.
François Ozon in Peter Von Kant, sviluppa una pellicola cinematografica rendendo omaggio al grande Rainer Werner Fassbinder, regista, produttore, attore, drammaturgo tra i massimi rappresentanti del cinema tedesco degli anni ’70, precursore di un nuovo stile concettuale, un nuovo linguaggio artistico e progressista, una nuova avanguardia.
In questa pellicola Ozon, riprende ed interpreta Le Lacrime Amare di Petra von Kant presentato da Fassbinder nel 1972 al Festival di Berlino volgendo la storia al maschile, Peter Von Kant personaggio protagonista, regista teatrale dalla personalità prepotente che ama maltrattare, con piglio autoritario, Karl (Stefan Crepon), il suo assistente: Peter robusto, vigoroso e Karl smilzo di fisico e di carattere.
L’arroganza del desiderio in Peter Von Kant
Peter, presentato da Sidonie, conosce Amir (Khalil Ben Gharbia), un bellissimo giovane con velleità artistiche di cui si innamora follemente; un colpo di fulmine che schiude una narrazione alternata e scandita in tre fasi: la prima lenta, in cui prevalgono silenzi ed allusioni, la seconda euforica, carica di passione e di possesso, la terza, infine, tanto patetica quanto isterica.
Peter Von Kant, dal primo istante sa perfettamente ciò che vuole e intende ottenerlo esercitando il suo potere e utilizzando tutti gli strumenti in suo possesso per legare a sé il giovane di cui si è follemente invaghito; il regista, Peter, è convinto che aprendo ad Amir la strada del successo possa legarlo a sé in una gabbia di gratitudine e riconoscenza. Non sarà così; Amir raggiunge il successo ma abbandonerà Peter perché chiamato da Franco Zeffirelli a far parte del cast di un suo lavoro cinematografico.
La ribellione dell’amore contro gli incoscienti e i sentimentalisti spietati
La scena si impossessa di un’atmosfera malinconica con punte sentimentalistiche, piena di vuote attese, di continue richieste e supplichevoli conferme di essere ricambiati, per aprirsi a momenti furiosi pregni di ira mista a delusione. Si frantuma quell’ idea, di cui Peter era convinto, che l’amore fosse solo uno strumento di controllo dell’altro; si assiste al crollo del personaggio che appare denudato e vittima delle sue debolezze.
Peter Von Kant, interpretato magistralmente da Denis Menochet, è un’azione performativa che permette una riflessione e l’attribuzione di significati profondi ed essenziali; una condizione tutta umana in cui si celano le fragilità truccate dall’apparenza di un uomo egoriferito; il suo gilet, i suoi stivali, la sua imponenza permettono di osservare con una lente d’ingrandimento, la bellezza sfumata di un uomo che altro non è che un fallito d’amore.
L’incoscienza di una vita annerita dalla droga e dall’alcol, decorata con cipria e grosse bretelle su un palco che scricchiola e amplifica il respiro, elementi tutti che “sonorizzano” un film che eccellentemente dimostra la forza della fragilità a confronto con una prepotenza autocelebrativa che si tramuta in autocommiserazione. L’uomo sa distruggere ciò che ama. La rabbia, la delusione e l’affetto sono tre linee che si intercettano e si sovrappongono in un gioco crudele tra noi e gli altri, tra gli altri e noi.
Peter Von Kant: conclusione e valutazione
La bellezza del cinema di Francois Ozon si declina nella sapienza del dialogo; la centralità del peso attribuita a ciascuna parola; la bravura nel trasformare la finzione in una commedia grottescamente reale fino a diventare paradossalmente drammatica. La perfezione in una sceneggiatura che viene raccontata, in modo implicito dalla scenografia; la rigidità di un’immagine la cui staticità diventa movimento riuscendo ad oltrepassare l’idea primitiva e prolungandola all’interno di una concettualizzazione moderna!