Parlami di Lucy: recensione del film di Giuseppe Petitto

Parlami di Lucy è l'esordio al lungometraggio di Giuseppe Petitto. Un film scuro, un thriller psicologico che vuole investigare i sentimenti umani messi alla prova dal dolore e dalla sua accettazione. Il film è al cinema dal 19 aprile con Altre Storie.

Parlami di Lucy è un thriller psicologico che richiama le atmosfere di Darren Aronofsky, dove la percezione del pericolo è più forte del pericolo stesso.

Nicole (Antonia Liskova) vive con sua figlia Lucy (Linda Mastracola) in una casa in montagna, isolata e circondata dal bosco. Il marito Roman (Michael Neuenschwander) è spesso assente per via del lavoro e inoltre ha trovato un’altra donna, cosa che mette ancora più in crisi la moglie. Nicole è una pittrice “in pausa” con problemi di alcolismo, per cui nonostante l’amore per la figlia non riesce a starle a fianco come dovrebbe. Così Lucy sviluppa inquietudini e problemi di socializzazione. Infatti il giorno del suo compleanno vorrebbe passarlo con la sua famiglia, invece della festa organizzata dalla madre con tutte le compagne di classe.

Lucy fa otto anni, un compleanno importante dato che da questo momento la vita domestica cambia

parlami di lucy cinematographe.it

Sembra esserci un pericolo, Nicole sente e vede delle situazioni strane nei dintorni della casa e deve fare il possibile per proteggere Lucy.
Il film ha un tono nero, le immagini sono desaturate e l’elemento onirico è centrale, ricorrente il sogno di Nicole che allatta, ma il bambino sta succhiando sangue dal suo seno. Anche la pittura serve a mostrare una simbologia, gli uccelli morti del quadro ritornano nella vicenda. Attraverso la natura e l’inconscio viene raccontato il problematico rapporto tra una madre annichilita e una figlia molto sensibile e il processo di accettazione, che spesso diventa negazione del dolore.

Il pericolo che si manifesta nella casa ha una natura sinistra e fino alla fine non capiamo se si tratti di un intervento umano o sovrannaturale e questo mantiene uno stato d’angoscia costante nello spettatore.

La regia di Giuseppe Petitto gestisce bene lo spazio, che viene amplificato (siamo per lo più sempre in casa) e la bravura degli attori, soprattutto di Antonia Liskova mantiene alta l’attenzione (i suoi primi piani sono fortemente comunicativi, ha una forte espressività).

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In questa atmosfera dark, in cui la parola è rada, la musica originale di Theo Teardo svolge una funzione predominante in Parlami di Lucy.

Modula il tempo e colloca i personaggi nei loro stati emozionali. I suoni richiamano la natura, creando un link tra il mondo esterno e la percezione interna, sottolineando che l’angoscia, la paura, la delusione, la sofferenza e la pace sono esperienze reali, che la nostra percezione complica.

Il finale rivela un colpo di scena che determina l’interpretazione dell’opera. Peccato che l’intero film si predisponga a questo momento, alzando così tanto le aspettative. Ciò che succede ha un intenso significato morale e psicologico ma non mantiene la promessa di stupore, niente di sovrannaturale, né di sconvolgente: piuttosto una rivelazione sui rapporti e sulla fragilità dell’uomo.

L’esordio di Giuseppe Petitto al lungometraggio dimostra talento registico e la presenza di originalità e visione d’autore. Forse serviva più fluidità nella sceneggiatura: si indugia troppo su alcuni momenti e  sembra che la trama sia spinta in una direzione più controllata di quella che avrebbe potuto intraprendere naturalmente.

Comunque un ottimo risultato e una buona esperienza di cinema d’autore.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.4