Venezia 77 – Padrenostro: recensione del film di Claudio Noce

Recensione di Padrenostro, il film di Claudio Noce presentato a Venezia 77, con Pierfrancesco Favino nel ruolo di protagonista e produttore.

Padrenostro di Claudio Noce, film tra i più attesi di Venezia 77, si presenta come un’opera molto particolare, in virtù di un cast di prim’ordine e di un regista tra i più interessanti nel panorama emergente italiano, visto il suo sapersi destreggiare tra piccolo e grande schermo in progetti vari e difficili.

Tratto da una storia vera, recita l’incipit dei 120 minuti che trasportano lo spettatore nell’Italia della seconda metà degli anni 70, nella Roma della Lazio di Chinaglia e Re Cecconi, tra Tex e Carosello, ma soprattutto nei disgraziati anni di piombo. Valerio (Mattia Garaci), timido e fantasioso ragazzino di dieci anni, si ritrova con l’esistenza sconvolta dall’attentato subito dal padre Alfonso (Pierfrancesco Favino), vicequestore, per mano di alcuni terroristi.

Nonostante i tentativi di placarne curiosità e paura da parte della madre Gina (Barbara Ronchi), Valerio infine si troverà combattuto tra il desiderio di una paternità più presente, e quello di un estate che di lì a poco gli darà la strana e importante amicizia con Christian (Francesco Gheghi). Ma non tutto è ciò che sembra…

Padrenostro è un film molto personale, forse troppo

Non si può certo dire che manchi di coraggio o ardimento Noce, nel trasportare una vicenda così personale sul grande schermo, unendo realtà e fantasia, in uno script senz’altro creativo, in cui si sposa completamente il suo punto di vista, grazia all’energia del giovanissimo Garaci. L’Italia di quegli anni era piena di famiglie nelle stesse condizioni, in cui la morte e la paura erano siempre dietro l’angolo, tra terrorismo nero e rosso, delitti di stato, tensione, ed una generale atmosfera di allucinante incertezza.

Noce sicuramente riesce a donarci quella paura attraverso gli occhi dei più piccoli, ma allo stesso tempo il suo abbracciare una dimensione indefinita, nonché il suo forzare ed enfatizzare ogni istante, sia con la regia che con la colonna sonora, si rivelano una scelta magari coerente con il suo vissuto, ma cinematograficamente poco azzeccata. La sensazione è che Padrenostro avanzi con un “motore” truccato in modo eccessivo, che porti con sé un carico di significati che però avrebbero necessitato di uno sguardo più freddo, più naturale, più neutro. Il regista pare aver commesso l’errore di non considerare la naturale estraneità del pubblico alla vicenda, e di conseguenza la necessità di una narrazione che colmasse tal gap dal punto di visto empatico.

Un film che perde di equilibrio

I primi piani diventano mano a mano ossessionanti, l’insieme non perde l’energia, ma è un’energia indefinibile e davvero troppo mal distribuita, la regia perde di fluidità e naturalezza, trasforma il racconto di un’infanzia in una sorta di pesante disamina della capacità tutta infantile di supplire alla realtà con la fantasia.
Ma non è questo il modo di semplificare la fruizione e soprattutto di reggere una storia che avrebbe dovuto farsi maggiormente carico della dimensione “storica” della vicenda, del suo valore universale, rappresentativo di un’intera generazione di bambini cresciuta o senza padre o con la paura crescente di vederselo ammazzare sotto casa.

Rimane senza ombra di dubbio il talento di Noce per aver saputo regalare grandi momenti di incertezza ed ossessione, nonché di averci saputo dare finalmente una rappresentazione credibile dell’infanzia. Ma l’eccesso di lirismo e drammaticità anche dove non necessaria, alla fin fine donano a Padrenostro la spiacevole compagnia del barocco, del già visto (Salvatores aleggia da metà in poi in modo palese) e a dirla tutta pure dello stucchevole.

In Padrenostro il tema della paternità come assenza

Un vero peccato che Noce abbia voluto per forza inseguire e connettersi a così tante tematiche, atmosfere, voli pindarici narrativi e ad un tono così eccessivamente “carico”, perché Padrenostro ha sicuramente nell’analisi della paternità vista dal “basso” un elemento di grande interesse. Forse concentrarsi più su quegli eventi storici, abbracciare una dimensione infantile di quell’Italia colpita al cuore (un pò alla JoJo Rabbit per intenderci) sarebbe stato molto più interessante e riuscito.

Tuttavia, rimane comunque nel film, una rappresentazione della paternità (assente, presente, come “eredità” irrisolta) interessante, connessa ad una dimensione di incomunicabilità e di rimpianto. Peccato però che sia uno dei pochissimi elementi positivi di un’opera che è veramente un’occasione persa, un’operazione troppo personale nella forma e troppo pretenziosa, per poter dare qualcosa al pubblico.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.6