Oltre l’universo: recensione del film Netflix di Diego Freitas
Oltre l'universo amalgama amore e malattia con sguardo rasserenante, ma sacrifica il realismo necessario per raccontare (davvero) di cure e patologie rare.
Secondo lungometraggio dopo una serie di corti sperimentali fra cui Sal, selezionato nel 2016 da numerosi festival riscuotendo interesse e ben 7 premi, Oltre l’universo segna per il regista brasiliano Diego Freitas la sua prima collaborazione con Netflix, e la confezione da love story teen zuccherosa e sognatrice, più volte collaudata in piattaforma, non potrebbe essere da meno.
Oltre l’universo: l’amore (fra medico e paziente) sulle note di Chopin
Disponibile a partire dal 27 ottobre 2022, questo sick romance è la storia di un amore destinato all’ineluttabilità della malattia terminale, quella dell’aspirante pianista sinfonica Nina, affetta da lupus da quando aveva nove anni, ora in attesa di un trapianto di rene che potrebbe salvarle la vita. La ragazza si scontra per la prima volta con il bel Gabriel nella stazione ferroviaria in cui si è fermata per suonare Chopin, per poi rincontrarlo sulle corsie dell’ospedale dove lui è lo specializzando sotto la protezione del padre-capo reparto, mentre lei è costretta alla dialisi come fa da una vita.
Fra i due scatta subito la scintilla e fra un pianoforte suonato in una chiesa abbandonata, una lezione di bicicletta e la policy dei camici bianchi che non vede di buon occhio una relazione fra dottore e paziente che esuli i codici etici del giuramento d’Ippocrate, Gabriel e Nina affronteranno la malattia e l’attrazione con lo stesso coraggio, finché una tragedia inaspettata (non quella che si potrebbe facilmente intuire) spezzerà quel legame terreno per attraversare i confini dell’universo.
Giulia Be e Henry Zaga coppia teen e glamour per un film furbo e rassicurante
Film d’amore e patologia perfettamente inserito nel filone Colpa delle stelle in giù, Oltre l’universo abbellisce lo spavento e la bruttura dell’infermità alterando il realismo e la freddezza dei luoghi tipici del malessere fisico (reparti ospedalieri, sale d’attesa, stanze private di medici ecc) da uno strato dolciastro di sentimentalismo, sfavorendo così la cruda demoralizzazione dello spettatore ed infondergli il comfort necessario a non fargli cambiare canale.
Senza infatti addentrarsi troppo nel racconto chirurgico e pragmatico del lupus, malattia autoimmune poco conosciuta ma che affligge senza distinzioni d’età attaccando qualsiasi organo, il film di Freitas vuole piuttosto standardizzarsi nel romanticismo istantaneo della bellezza fiorente giovanile, venendo proprio per questo in aiuto una scelta di cast azzeccatissimo: l’esordiente Giulia Be, già cantante e cantautrice (qui canta e suona parecchio) e il 29enne (meraviglioso) Henry Zaga, visto in Teen Wolf e Tredici.
Belli e (im)possibili
Innegabilmente fotogenici e glamourizzati da outfit e look che ne esaltano la prestanza fisica, il vero centro del racconto sono proprio i due attori e la loro capacità di mimetizzare la puerile banalità dello script in un’operazione furba e intercambiabile allo stile hollywoodiano, dove a rincuorarci è l’ideale di un amore perfetto e senza tempo, riparatore e ristoratore, portatore di miracoli nonostante i lutti.
Contornato dalle note avvolgenti e senza tempo della musica classica e modernizzato da vibranti luci al neon, un pizzico di eros senza essere too much e le lacrime conclusive che vogliono farci credere in un aldilà possibile, Oltre l’universo è compatibile al 100% con una fetta di pubblico alla ricerca di un connubio fra spensieratezza ed emotività, mentre lo è all’1% per chi ha voglia di vedere un buon film.