Oltre il confine: recensione del film di Alessandro Valenti

Valenti ci fa immergere in un racconto dove la speranza è solo una fiammella pronta ad estinguersi in fretta.

Presentato il 28 luglio 2022 al Giffoni Film Festival nella sezione Generation+13, Oltre il confine è scritto e diretto da Alessandro Valenti. Il film è distribuito da 102 Distribution e prodotto da Scirocco Films in collaborazione con Rai Cinema.
Oltre il confine, interpretato da Mama Fatou Mbaye, Fallou Mbaye, Iana Forte e Nicola Rignanese, racconta la tragica storia di due fratelli diretti verso Roma dopo che la morte della madre. Un film crudo e viscerale che mette a nudo le dinamiche di potere di una società che troppo spesso si volta dall’altra parte, ma una sceneggiatura a tratti superficiale e una recitazione non sempre brillante impediscono all’opera di raggiungere il cuore degli spettatori.

Oltre il confine: un viaggio tra due continenti

Oltre il confine racconta di una traversata tra due mondi. Il viaggio di Bekisisa e suo fratello Eno inizia con un’ultima promessa fatta alla madre in punto di morte: quella di andare via dall’Africa e tornare in Italia, da loro zio. In un Paese dove non avevano trovato nessun aiuto né accoglienza, costretti a tornare in un piccolo villaggio africano.
Valenti mette in scena il pellegrinaggio senza cadere nell’errore di semplificarlo, ma si concentra maggiormente sulle difficoltà incontrate dai due giovani in Italia. Il mare impetuoso non li risparmia, il tratto percorso per raggiungere le coste africane è insidioso e l’ambientazione desolata e solitaria – se non per l’incontro con una capretta – scandisce ogni loro passo.

In Oltre il confine, il passaggio dall’Africa all’Italia è sancito dall’incontro con un ragazzo che li introduce in una comune composta e organizzata da altri bambini immigrati da varie parti del mondo. Le regole da seguire sono poche, ma molto rigide e coincidono con l’assenza di una gerarchia. Chi riesce a procurare viveri per gli abitanti di quella desolata casa ha diritto a mangiare, chi invece torna a casa a mani vuote è obbligato a saltare la cena. Una linea di condotta che sembra rigida, ma è votata alla sopravvivenza.
In una società dove nessuno si prende cura di loro, l’unica soluzione è quella di far fronte comune. Una condizione a cui Eno e Bekisisa sono abituati a vivere, ma in cui comunque si introducono a fatica.

Oltre il confine: un dramma che si consuma nell’indifferenza

L’atmosfera cambia radicalmente quando arrivano gli adulti, i grandi assenti per una buona parte del film che ribaltano completamente le sensazioni nate in precedenza. Lo stile di vita della comune non appare più così rigida, ma votata al sacrificio e al senso di comunità che emerge maggiormente quando un gruppo di adulti trova il loro nascondiglio e diventano i despoti accecati dal potere che si traduce presto in violenza.
La differenza tra il comportamento violento e crudo degli adulti stride nettamente con la vita che i bambini vivevano nel capannone abbandonato riadattato a casa. Oltre il confine vuole parlare dei disagi e delle sofferenze che proseguono anche dopo l’arrivo in Italia e che, per certi versi, è anche peggiore del viaggio in sé. Valenti ci fa immergere in un racconto dove la speranza è solo una fiammella pronta ad estinguersi in fretta.

I campi lunghi, il soffermarsi della macchina da presa sul volto dei giovani ragazzi che popolano la storia sono accompagnati dall’assenza quasi totale della colonna sonora. Valenti preferisce percorrere una strada differente e affidare a Bekisisa non solamente il ruolo cardine della narrazione, ma anche il punto focale dell’assetto emotivo. La ragazza più volte viene sorpresa a cantare canzoni tipiche del suo Paese, intonate nella sua lingua madre, e parlare con la madre defunta durante i momenti più toccanti del film. Quei momenti e l’arrivo degli adulti che forza il ritmo ad accelerare e rende l’atmosfera più tesa, sono le punte di diamante del film che tuttavia presenta diversi difetti.

Valenti si affida a una scrittura che allontana il pubblico piuttosto che ammaliarlo

Il primo tra tutti è riconducibile alla scrittura dei due protagonisti. Sebbene siano nati e cresciuti nello stesso ambiente e hanno vissuto le stesse esperienze, i due fratelli sono diametralmente opposti. Più che dare due punti di vista differenti alla storia – uno più ottimista e votato al far di tutto pur di arrivare a Roma e l’altro più rigido -, Bekisisa ed Eno sono costruiti su degli stereotipi in cui ci si incappa fin troppo spesso quando si parla di personaggi di colore. Certe caratteristiche dei ragazzi, le loro peculiarità dominanti, ricalcano degli stereotipi che dilagano nel cinema. Bekisisa ricopre un ruolo materno ancor prima che la loro madre muoia, ancora prima di dover badare anche a suo fratello oltre che a se stessa. Al contrario, il fratello Eno è molto più infantile: si caccia spesso nei guai, si caccia in situazioni spiacevole anche agli altri e il suo unico tratto distintivo è quello di essere un appassionato di calcio.

Ad essere poco convincente in alcuni momenti è anche lo stile di recitazione adottato che spesso cade nell’apatia.
Sulla carta, Oltre il confine è un film di critica sociale reso ancora più drammatico dalla scelta di affidare il punto di vista a due bambini che devono intraprendere un viaggio pieno di insidie e abbandonati a loro stessi. Una realtà parallela che fin troppo spesso viene ignorata anche se è sotto gli occhi di tutti, soprattutto dalle istituzioni che vengono descritte dal regista come feroci e senza cuore.
Oltre il confine parte da un’idea lodevole anche se non delle più originali, ma la resa finale non riesce a colpire nel segno a causa di una sceneggiatura troppo superficiale che allontana il pubblico anziché conquistarlo.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.4