Nyumba: recensione del documentario di Francesco Del Grosso

Nyumba è l'amo a cui abbocca la nostra empatia, un documentario che narra l'inenarrabile, senza retorica.

Approda a riva, laddove molti sopraggiungono da terre lontane, dove molti neanche arrivano. Nyumba, il documentario di Francesco Del Grosso, è dedicato soprattutto a loro, ai migranti che non si sono salvati e di cui abbiamo perso memoria.
Un viaggio poeticamente struggente, che ha il potere di incidere le storie di chi è riuscito a sopravvivere all’inferno, lasciando che le loro parole fluiscano sottopelle come aghi d’inchiostro.

Un viaggio di sabbia e voci

Il regista trasforma la sceneggiatura e il soggetto di Paola Bottero in un racconto fluido fatto di immagini che si dileguano fisicamente dal dolore, manipolandolo secondo altri giochi di luce e suoni, rendendolo tridimensionale e vivo.
Le storie di Abdulaye, Alex, Hafsa, Moussa e Sisì si somigliano tutte, eppure ognuna ha un epilogo diverso, qualcosa in più da insegnarci, un argomento differente sul quale farci riflettere. Partiti rispettivamente da Gambia, Senegal, Sierra Leone e Somalia, questi giovani hanno avuto il coraggio (e forse anche l’incoscienza) di lasciare indietro le loro famiglie, le loro abitudini e le loro vite, fuggendo dalla povertà, dalla miseria, dalle privazioni, con la speranza di avere un futuro migliore. E per farlo hanno attraversato il deserto e il mare, che nelle sensazioni di chi viaggia verso l’ignoto equivalgono a un enorme buco nero capace di inghiottire la vita. Distese di sabbia come distese di acqua. Cosa cambia in fondo? Chi muore percorrendo il deserto del Sahara (freddissimo di notte e caldissimo di giorno) non verrà mai sepolto, semmai potranno vederlo i viandanti di una nuova Odissea, magari scorgendo tra gli scheletri i loro vecchi amici (ai quali però non resterà altro da fare se non piangere e proseguire). E chi muore nel mare? Resta lì, parte di un tutto che a volte sembra niente.

Non c’è retorica, in Nyumba, anche se quelle storie le abbiamo già lette e sentite, qui sembrano finalmente bagnarsi di autenticità e riuscire a toccare le trame più profonde del nostro umano sentire. Dalla spiaggia bianca di Cutro, animata da una barchetta e qualche arbusto, dove i protagonisti si muovono, ci si trasferisce adagio nei disegni di sabbia di Rachele Strangis. La tavola luminosa in cui i granelli scivolano apre la mente verso luoghi lontani, concedendo a ogni spettatore il diritto di immaginare: la sete, lo stupro, le frustate sulla pelle, la paura, il caldo soffocante, il dolore, la morte che passa davanti agli occhi, la lingua che si inceppa su parole incomprensibili, i sogni che si schiacciano al suolo e quelli che prendono il volo, la vita a cui si resta aggrappati, senza sapere esattamente perché. “Perché io?”, è la domanda che si fanno tutti i superstiti, mentre ricominciano a camminare a testa alta lungo le strade, ricucendo i brandelli delle loro esistenze, come fossero ricami etnici e sbiaditi su un tessuto nuovo, che pian piano inizia a prendere forma, ad avere le fattezze e il profumo di casa.

Una nuova casa, già! Nyumba significa proprio questo in lingua swahili: “casa”. Una parola semplice, concisa, magari scontata, che qui viene sedimentata passo dopo passo, racconto dopo racconto. Ne scorgiamo le sfumature al principio e poi sparisce via, si dilegua tra i vicoli della memoria, tra i capelli intrecciati dei protagonisti, nelle loro mani laboriose, nell’amore che hanno trovato nelle famiglie e nelle persone che li hanno accolti, tendendogli la mano fino a trascinarli dentro un vortice di amore e comprensione che nella sua normalità diviene eccezionale.

Nyumba: valutazione e conclusione

Nyumba recensione cinematographe.it

Francesco Del Grosso riesce a tramutare quel fascio di narrazioni, schizzi d’arte e musiche in un agglomerato di resistenza e sacro desiderio di appartenenza, elaborando un documentario vivo, in grado di restare appiccicato addosso e di farci rotolare dentro quelle storie. Nyumba è l’amo a cui abbocca la nostra empatia (anche quella repressa).

Sorretto dalle musiche di Marco Del Bene (mentre il suono è di Francesco Profeti e il sound design e mix di Daniele Guarnera), Nyumba si avvale del montaggio di Giulio Tiberti, della fotografia di Francesco Casunati e Matteo Niccolò Bresci, color grading di Daniele Cipriani.
Prodotto da Indaco Film con il contributo di Calabria Film Commission, Piano Azione Coesione, Unione
Europea, Repubblica Italiana, Fondo per lo sviluppo e la coesione, Regione Calabria con il patrocinio di Comune di Cutro, Nyumba è prodotto da Luca e Davide Marino ed è stato presentato e premiato durante l’11ª edizione del Festival Visioni dal Mondo – Festival Internazionale del Documentario.

Regia - 5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4.5

4.2