Venezia 80 – Nina dei Lupi: recensione del film di Antonio Pisu

Il film di Pisu è un ancestrale ritorno alle origini per capire chi si è e chi si sarà.

“Tempesta solare: disturbo della magnetosfera terreste, causato dall’attività solare che interrompe il funzionamento di qualsiasi apparecchiatura elettronica”. La tempesta si scatena, l’elettricità va via e l’oscurità cala sulla terra. Il mondo è allo sbando, 12 anni dopo. Tra le montagne, a Piedimulo, in un piccolo pezzo di mondo, tutto sembra essersi ricostruito. La vita continua, anche se arcaica. Si apre così Nina dei Lupi, il film di Antonio Pisu che trae ispirazione dall’omonimo libro di Alessandro Bertante, presentato in anteprima mondiale all’80^ edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia come proiezione speciale in apertura delle Giornate degli Autori il 30 agosto 2023. Nina dei Lupi è un horror perché fa paura assistere a ciò a cui può arrivare l’uomo, un racconto fantastico per allegorie e archetipi, una storia post apocalittica perché quando c’è una catastrofe poi l’umanità deve risollevarsi. L’opera di Pisu è tutto questo ma anche molto altro. Il regista porta sul grande schermo un disastro colossale che tutti chiamano “la Sciagura”, le cui cause rimangono vaghe, i cui effetti però sono evidenti. Il mondo è crollato, sconvolto, la civiltà si è sgretolata e quel che ne è rimasto è furioso, violento e pericoloso. Bande di predoni e assassini percorrono le strade. C’è però un piccolo luogo, Piedimulo in cui vive una “infinitesimale” comunità per cui l’unica salvezza sembra essere l’isolamento, il ritorno alle vecchie usanze. Tra loro c’è Nina, scampata all’orrore, nata proprio quella famosa notte in la Sciagura è avvenuta. Quando il male invade quel piccolo e “puro” mondo antico, decimando brutalmente la popolazione e soggiogando i superstiti, Nina fugge nei boschi, impara la sopravvivenza in montagna e la convivenza con i lupi, comprende i poteri che ha dentro di sé per salvare la sua gente.

Nina dei Lupi: un piccolo angolo di mondo in cui salvarsi

Se prima della Sciagura la tecnologia dominava, dopo l’evento nulla è più come prima. Gli orologi sono fermi, tutto è fermo. Dall’altra parte c’è sempiterna la Natura, anche nella sua essenza più selvaggia: le montagne alte e fitte, il fiume, confine naturale, la neve e i lunghi inverni, i lupi che vivono indisturbati. La società civile è andata in pezzi, si è accartocciata su sé stessa e c’è chi inizia ad usare la violenza, tabula rasa del Sapere. Le bande girano come avvoltoi. Piedimulo, con la sua comunità invisibile ritornata alle usanze più antiche, senza contatto con l’esterno, cerca di tenere lontani gli invasori, di restare fuori dal pericolo.

Nel momento in cui i predoni, capitanati dal terribile Fosco, arrivano in quell’isola felice, tutto si complica. Si deve decidere da che parte stare e il film mostra lo scontro tra chi resiste, umano e vivo, e chi si abbandona alla violenza insensata e vorace, e quindi priva di qualsiasi disegno. In mezzo a tutto questo c’è Nina, interpretata da una strepitosa Sara Ciocca, che si staglia forte e coraggiosa, desiderosa di intraprendere un viaggio di scoperta di sé e di maturazione. Lei è la prescelta, lei ha il potere di salvare la sua gente. Grazie alla maestra del paese ha iniziato a leggere un libro di miti e leggende riguardanti la Dea Reitia, la signora degli animali che abitava quei luoghi migliaia di anni prima e lei si sente vicina a quell’universo e quelle letture sembrano farle ricordare cose del passato che come lampi la illuminano.

Nina dei Lupi è un’opera a tratti claustrofobica, chiusa tra montagna e quell’aldilà del fiume che sembra spaventoso e bellissimo insieme, in un mondo assurdo, distopico, violento, in cui non esiste la comprensione e la compassione.

Il viaggio di un’eroina per scoprire sé stessa e salvare la propria gente

Alfredo: “Nina, Nina. Se io ti dico che qui non ci devi venire, tu qui non ci vieni. Promettimi che non ci torni più. Tu qui al fiume non ci torni più”

Nina: “Lasciami stare. Perché non posso fare le cose che fanno gli altri, perché non posso andare a scuola”

Nina guarda al di là dell’acqua come Pocahontas mentre è immersa nel suo elemento, sembra che la natura le parli, lei è diversa, lo sa e per questo fa paura. Vorrebbe vivere come gli altri, ma non può, vorrebbe andare a scuola ma le è proibito, sarà anche per il passato che ha avuto, per la sua storia. Nina è cresciuta con Alfredo (Cesare Bocci), il sindaco di Piedimulo, tipico padre delle storie dei bambini, vuole frenare la protagonista dal fare qualcosa che potrebbe essere pericoloso, pone dei limiti che per forze di cose devono essere valicati e infatti Nina non riesce ad accettare le regole da lui imposte e lo guarda con occhi severi e taglienti, mostrandogli il carattere chiuso e selvaggio. Nina, alla guisa di tutte le eroine che sovvertono la norma, viene chiamata “strega” perché quando accadono strani fenomeni, lei è sempre presente. 

Nina è una delle poche che può davvero dialogare con la natura che la circonda, però fino a quando resterà lì, sarà impossibile che questo avvenga. Fugge – lanciandosi non solo metaforicamente nel vuoto -, riesce ad arrivare nel bosco proprio come una principessa delle favole, una di quelle nuove guerriere indomite che per diventare grandi devono compiere grandi imprese, perdere un po’ di ciò che erano e acquisire nuove certezze. Trova rifugio in una piccola casa nel bosco, nella parte alta della Montagna Scura, da Alessio (Davide Silvestri) –  uno di quegli aiutanti delle favole, silenzioso e ombroso -, uomo solitario che la salva, e lì raggiunge grazie ad una dolorosa rinascita, un nuovo stato di coscienza, con una nuova consapevolezza e forza.

Nella natura selvaggia, Nina scopre di avere grandi poteri, con il vento, l’acqua, con i lupi lei dialoga e così parla anche con sé stessa. Lei è capace di instaurare una sinergia con ciò che c’è intorno e a poco a poco comprende che è diversa e deve esserne orgogliosa e felice. Lei e ciò che la abita sono un dono. Sarà lei quella che riporterà equilibrio tra uomo e natura?

Quando il male ha un volto e uno schieramento

nina dei lupi_cinematographe.it

Intanto a Piedimulo, i predoni hanno la meglio. Tutto viene messo a ferro e fuoco, la violenza sembra essere l’unica lingua possibile. A capo del gruppo nemico c’è Fosco, nomen omen, dirigeva un impianto di smaltimento rifiuti – non a caso – prima della Sciagura. Costretto dai debiti e dalla concorrenza ad utilizzare metodi illegali per compiere il proprio lavoro, Fosco è logorato dalla sua esistenza. Sul punto di togliersi la vita il giorno della sciagura è per lui provvidenziale, è un segno che lo porta ad essere la guida di un gruppo di uomini alla ricerca della “terra promessa”. Lui è il più crudele di tutti, non ha né dio né compassione. Vuole tutto per sé, il suo è una sorta di esteso e espanso “mors tua vita mea”. La vita di nessuno è importante, esiste solo il suo progetto.

Fosco è come il cattivo delle favole, uomo del fuoco, un brutale cavallo di Troia, che arriva a Piedimulo fingendo di essere bisognoso di aiuto e invece vuole solo depredare, saccheggiare, occupare. Se la gente di Piedimulo fino a prima del suo arrivo, viveva in una sorta di status quo, in una sorta di paradiso perduto, ora invece, dopo la sua “calata” l’ordine arcaico è crollato.

Nina dei Lupi: valutazione e conclusione

Nina dei Lupi è una favola nera intensa e cupa, con una eroina potente e vitale. Si tratta di un racconto distopico, di un romanzo di formazione, di una storia horror come solo le narrazioni di chi sta crescendo sanno essere. Per crescere Nina dovrà capire chi è, chi sono gli altri, dovrà guardarsi dentro e guardare ciò che ruota intorno a lei. 

Il film di Pisu è un ancestrale ritorno alle origini per capire chi si è e chi si sarà, moderna guerriera Nina, libera e coraggiosa, sente la voce del fiume, comprende ciò che nascondono i silenziosi occhi dei lupi, non retrocede mai perché il mondo (suo, piccolo ma anche al tempo stesso enorme) conta su di lei. Tra le pieghe di Nina dei Lupi, ci sono miti e leggende, ombre e arcaiche figure di un folklore pagano e contadino, sangue e violenza, strappi e maturazione. Il viaggio (epico) dell’eroina attrae, spaventa e stupisce; grazie ai suoi poteri, ai doni ricevuti, Nina diventa grande – con una scena forte, importante, simbolica e reale al tempo stesso – proprio in un momento cruciale.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.7