Mountainhead: recensione del film di Jesse Armstrong
L'erede di Succession, con cui condivide il creatore, le tematiche e l'estetica, che non riesce nel suo intento di essere una satira attuale e crudele sui ricchi e sulla tecnologia.
Il nome di Jesse Armstrong non è nuovo nell’industria cinematografica. Conosciuto ed acclamato per le sue sceneggiature che spaziano tra la satira e la black comedy, Armstrong ha raggiunto l’apice con Succession ed ora è pronto per aggiungere un nuovo tassello alla sua carriera non limitandosi più soltanto alla scrittura, ma passando anche dietro la macchina da presa; Mountainhead, difatti, è il suo debutto come regista.
Con un cast ristretto composto da Steve Carell, Jason Schwartzman, Cory Michael Smith, e Ramy Youssef, Mountainhead, prodotto da HBO e in uscita su Sky il 12 settembre, è l’erede spirituale di Succession.
La trama di Mountainhead

Protagonisti di Mountainhead sono quattro ricchi amici che si ritrovano, idealmente, per giocare a poker e passare delle ore piacevoli insieme, ma i piani cambiano fin da subito. Hugo “Souper” Van Yalk (Jason Schwartzman), il più “povero” tra di loro nonché proprietario del rifugio chiamato Mountainhead, ha inizialmente invitato Randall Garrett (Steve Carell), mentore del gruppo, e “Jeff” Abredazi (Ramy Youssef), uno dei nuovi ricchi diventato benestante dopo aver creato un filtro che riconosce le immagini create con l’intelligenza artificiali. Il piano di Souper è ambizioso, ma semplice: invitare due vecchi amici per convincerli ad investire nella sua app dedicata alla meditazione e riuscire a raggiungere il miliardo. Piano che va in fumo quando si autoinvita anche il proprietario di Traam, Venis “Ven” Parish, IA che sta creando scompiglio nel mondo per via del suo iperrealismo.
Una commedia nera sull’intelligenza artificiale e sull’influenza dei “nuovi ricchi”

Quattro milionari che si ritrovano un weekend a casa del più povero tra loro, una crisi legata all’intelligenza artificiale che sta creando disastri in ogni parte del mondo, l’inventore di quella IA che si ritrova a faccia a faccia con l’ideatore di un filtro che risolverebbe ogni suo guaio e l’uomo che occupa il secondo posto della scala sociale i cui i soldi non sono più un pensiero, bensì lo è la propria mortalità. Tutti e quattro giocano a fare gli Dei, divinità che decidono il destino delle persone comuni con qualche semplice chiamata; la verità è che sono molto più comuni ed umani di quel che pensano. Ven riesce ad influenzare guerre, conflitti e disturbi che accadono in giro per il mondo con il suo lavoro, ma rimane comunque un uomo terrorizzato da quello che la sua tecnologia può fare. Randall è la rappresentazione perfetta di un uomo in declino: perde posizioni, uomini più giovani si arricchiscono in fretta lasciandolo indietro, ma la sua vera paura è la vecchiaia, il suo essere un uomo mortale. Anche se diventa in fretta il motore narrativo del film, è centrale un momento in cui si vanta di poter bloccare il Belgio solamente facendo qualche chiamata riuscendo, in realtà, a creare brevi e poco importanti blackout in una parte della città.
Non sono solamente gli argomenti e i personaggi a richiamare Succession, ma lo è soprattutto l’estetica. Glaciale, pulita e lineare, la regia e la fotografia, che tende al blu, richiamano apertamente il comparto visivo di Succession con i suoi primi piani puntuali e i campo e controcampo che rafforzano i momenti più drammatici.
Mountainhead: valutazione e conclusione

Mountainhead è l’erede spirituale di Succession in tutto e per tutto, ma è una delusione. Impossibile non paragonarlo alla serie tv più famosa e influente degli ultimi anni, e non solo perché condividono lo stesso autore ma perché Mountainhead rimane sullo stesso terreno. Da una famiglia disfunzionale si è passati a persone che si arricchiscono molto e in fretta grazie alla tecnologia, dai media si passa alle app e all’IA, con un’estetica simile e tematiche che seguono un filo conduttore. Quel che è diverso è la presa, la drammaticità che non riesce a raggiungere i livelli di Succession.
Sebbene l’utilizzo della satira e della commedia nera sia, come sempre negli scritti di Armstrong, ineccepibile, è proprio nella regia e nell’esagerazione che i significati del film vengono meno. I personaggi non sono macchiette memorabili come lo sono stati la famiglia Roy, ma semplici stereotipi poco incisivi che scompaiono dalla testa appena finiti i titoli di coda. Nelle intenzioni, Mountainhead sembra voler essere l’epilogo di Succession, un ultimo appunto che richiama le tematiche preferite di Armstrong unite ad argomenti ancora troppo attuali per essere inseriti in Succession. Il risultato è un film poco incisivo, una copia carbone di una narrazione che si è conclusa e che sembra difficile replicare.