Mister Chocolat: recensione

Quando la Belle Èpoque e il pregiudizio razziale si ritrovano uniti insieme nel panorama circense, a comparire sulla scena cinematografica è Mister Chocolat, percorso di un artista pretenzioso e vita di un uomo complicato, il continuo conflitto tra società e diverso che segnò la carriera florida di un personaggio il quale ricevette molto e sperperò altrettanto, l’inadeguatezza esistenziale in estremo contrasto con un’ambizione mossa costantemente da ammirevole audacia.

Arrivato ad un punto morto della sua lunga professione di clown, il rigido Footit (James Thierrée), per poter tornare ancora una volta su un palco, ha bisogno di rinnovare i suoi numeri e di riaccendere la scintilla con cui far infiammare l’esigente pubblico. Giunto ad un malconcio circo di periferia in cerca di un impiego, sarà l’incontro con un curioso nero dalle inusuali movenze a far scattare l’idea che creerà il clamore tanto desiderato. Per la prima volta infatti la platea assisterà alla coppia comica più esilarante del Paese, alle spassose gag del clown bianco e dell’Augusto, quel fantoccio tontolone che prende calci nel sedere e schiaffi tanto forti da vedere più la terra che il cielo. Per la prima volta, nell’arte della pantomima, la platea assisterà ad un duo di clown, quello formato da Footit e Chocolat (Omar Sy).

mister chocolat

Omar Sy e James Thierrèe sono il duo di clown Footit e Chocolat

Mister Chocolat – Da “cannibale” a maschera della risata

Dalla campagna alle luci di Parigi per poi tornare alle lande desolate dei sobborghi della vecchia Francia, questi i luoghi a dir poco simbolici che accompagnano l’inizio, l’ascesa e il declino del primo artista di colore della storia, Chocolat, da “cannibale” a maschera della risata, fino ad inevitabile figura di reietto dimenticato e schiacciato dai ricordi. Alla ricerca spasmodica di una spettacolarità da portare dentro il cerchio luminoso ed eccentrico del circo, una coppia improbabile e del tutto inaspettata si fa velocemente strada proclamandosi con gran frastuono sovrana del divertimento, vestendo ogni sera panni bizzarri e trucco pesante, nel convulso tentativo di superare se stessa confermando i preconcetti di altri. È con frizzante brio che l’esperienza clownesca si apre allo spettatore sul grande schermo, proseguendo malauguratamente con un prolisso susseguirsi di capriole e sgambetti che sfibreranno l’intensità e la fluidità della pellicola, costringendola a dilatarsi nel tempo con superflui accenni di vita e ripetitivi spettacoli che nulla di essenziale aggiungono alla biografia, seppur a tratti rivestita di fantasia, di un personaggio contraddittorio e borioso. Perché, sebbene Mister Chocolat è testimone di un’epoca in cui è diffusa l’idea della sottomissione dello straniero considerato portatore di un carattere primitivo, non si compatisce a pieno la condizione di Chocolat né si riesce a comprenderne o assecondarne la capricciosa ingratitudine. È di certo nell’ilarità della gente e nelle convinzioni conservatrici della borghesia da ricercare la radice del sentimento di umiliazione e rimorso di Chocolat, che però nel frattempo non rimane indifferente al fascino delle belle donne, al gusto dell’alcol e alla dipendenza da gioco d’azzardo, tutte porte dell’infernale paradiso a lui aperte grazie al potere del successo.  Ed è così che il razzismo passa in secondo piano, punto focale del film non è più tanto l’indignazione dei bianchi dinnanzi alla fortuna del nero, quanto la bramosa smania di un artista di elevare le sue materiali aspirazioni.

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Footit (James Thierrèe) si prepara prima di andare in scena

Sensibilità e fervore – Ciò che manca al film e al suo protagonista

Scelte insolite per la sceneggiatura di Mister Chocolat, eliminato ogni effetto d’empatia è solo l’ambizione a portare avanti clown e soggetto del film, che si rivela inefficace sotto diversi punti di vista. Roschdy Zem dirige l’ormai star francese Omar Sy, ma è James Thierrèe a lasciare impressionati, così simile nell’aspetto e nelle abilità al nonno Chaplin, così sofferente nella sua imperturbabile personalità di clown triste. Contornata dalla splendida scenografia degli ultimi anni dell’Ottocento a cavallo del secolo successivo, la storia di Chocolat è  fredda e poco coinvolgente, mancante di quella sensibilità e di quel fervore che anche nel protagonista non sembrano pervenire.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.3