Max Payne: recensione del film con Mark Walhberg

Un protagonista inespressivo guida una trasposizione cinematografica che soffre di un ritmo altalenante. La confezione estetica di Max Payne, tuttavia, ricalca lo stile del videogioco omonimo.

Il poliziotto Max Payne (Mark Walhberg), agente della DEA incaricato di occuparsi della sezione Omicidi Irrisolti, convive con un trauma irremovibile. Sua moglie Michelle e sua figlia Rose sono state assassinate brutalmente da una banda di spacciatori legati ad una nuova sostanza allucinogena chiamata Valchiria; una droga utilizzata per scopi militari è libera di circolare per le strade di New York. Max dovrà rintracciare coloro che hanno dato il via libera per rilasciare la Valchiria affidandola ad assassini ed esaltati delinquenti. Ad aiutarlo in questa ricerca Mona Sax (Mila Kunis), pericolosa trafficante della mafia russa dal grilletto facile.

Max Payne: quando il soggetto crolla su se stesso

Max Payne, Cinematographe.it

Uno spunto di trama efficace e basato sul videogioco realizzato nel 2001 da Remedy Entertainment non basta per rendere la pellicola accattivante e degna di essere seguita. I dialoghi non contribuiscono a valorizzare lo scenario glaciale e immerso nella neve che intralcerà le indagini di Max Payne. L’approccio visivo naviga in acque totalmente differenti dalla stesura e sviluppo di una storia senza personalità e senza protagonisti in grado di imporsi nel girato e prendere il controllo delle riprese. Non si crea empatia fra personaggio principale affranto, scosso ancora dalla brutale tragedia che l’ha colpito rendendolo inerme e spettatore pronto a legare con l’antieroe.

Con la sostanziosa mancanza di empatia quindi si va a tracciare un percorso di redenzione, una vendetta personale che si perde in un susseguirsi di visioni provocate dalla droga Valchiria e inserti d’azione invase da raffiche di proiettili vaganti. La narrazione non risulta organica e non rende giustizia ad un’icona videoludica che ha fatto breccia nei cuori di milioni di appassionati. La scelta di cast è lontana dall’essere indovinata; gli attori che dovrebbero ricoprire un ruolo di primaria importanza si ritrovano fra le mani un copione inconcludente e dettato dalla voglia di ricercare l’adrenalina anche quando non è richiesta.

Mirabili effetti visivi che non hanno fondamenta

max payne recensione film cinematographe.it

John Moore, regista al timone del progetto, cerca di trovare un compromesso con le allucinazioni agghiaccianti di demoni e angeli caduti causate dalla troppa assunzione della droga sintetica Valchiria; essa deriva dalla mitologia norrena, una guerriera che aveva il compito di raccogliere gli eroi caduti in battaglia per condurli nel Valhalla. Un’idea potenzialmente vincente utilizzata come pretesto per mostrare un campionario di effetti visivi sparsi in maniera casuale per tutta la durata. Il mistero che circonda la morte dell’intera famiglia di Max si risolve in poche battute, preferendo rivelare i colpi di scena nel corpo centrale del film e non riservando più svolte nell’esplosivo atto finale.

Il bullet time, tecnica di ripresa introdotta in Matrix (1999) delle sorelle Lana e Lilly Wachowski e applicata nel videogioco di Max Payne, è presente: la resa complessiva stona con la fotografia fosca e tenebrosa a cura di Jonathan Sela. Colori che tendono al bianco e nero, con sprazzi di rosso acceso che rappresenta l’impennata di violenza che subisce il film, vanno a definire un noir metropolitano gradevole nel quadro ripreso da Moore, ma povero di contenuti quando si deve scendere a patti con la storia e l’inserimento di parti depotenziate dal rallentatore. Il volto inespressivo di Mark Walhberg non aiuta a rinvigorire l’aspetto tecnico in corso di definizione, con una presenza scenica di scarso appeal. Si lascia trasportare da un indagine senza risvolti e circondato da comprimari invisibili, tanto iconici nel vestiario quanto impersonali nell’esplorazione dei personaggi e delle intenzioni che li caratterizzano.

L’atmosfera spicca quando deve abbinarsi a location sporche e perennemente buie, come se dovesse riflettere le sensazioni di disperazione e sofferenza che accompagnano il protagonista lungo tutta la sua “crociata”. Degli spunti accennati nel primo tempo vengono rimossi nella risoluzione dei conti, non contemplando più i lati disfatti alla radice di un personaggio tormentato da anni. Guidato dalla rabbia e dalla droga che manipola il tempo e distorce i colori dei quartieri malfamati, Max Payne tenta disperatamente di ricongiungersi con la sagoma di una moglie che non riuscirà più a dimenticare. Un cammino che dovrebbe essere considerato impervio, ma non è avvalorato da una direzione e una gestione degli attori ottimale. Un’occasione mancata.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.6