Material Love: recensione del film di Celine Song
L'opera seconda di Celine Song (Past Lives) vede come protagonisti Dakota Johnson, Pedro Pascal e Chris Evans
L’amore come formula, i caratteri come parametri, la difficoltà del calcolo, la semplicità dell’amore; Material Love (titolo originale Materialists) è il secondo lungometraggio scritto e diretto da Celine Song, l’autrice rivelazione che aveva illuminato la stagione 2023 con la sua opera prima Past Lives che, nella sua magia silenziosa, raccontava l’amore come spazio sospeso tra le culture e tra i tempi. Qui invece il baricentro si sposta, e con esso lo sguardo registico: abbandonato il co-produttivo ponte tra Oriente e Occidente, Material Love si americanizza nel cuore produttivo e visivo, mantenendo gran parte del team tecnico – la fotografia di Shabier Kirchner, la produzione di Killer Films e la musica di Daniel Pemberton – ma proiettandosi verso una New York frenetica, matematica, controllata. Un film d’autore che, pur nel suo taglio registico riconoscibile, sceglie di parlare a un pubblico più ampio, più mainstream, anche grazie alla presenza nel cast di tre volti notissimi: Dakota Johnson, Pedro Pascal e Chris Evans. Tre interpreti che, da soli, segnano il tentativo della Song di raccontare una storia contemporanea all’interno di un impianto narrativo più codificato, più accessibile, più definito. E quindi, forse, anche meno personale.
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Material Love: l’amore tra calcolo e definizione

Lucy (Dakota Johnson) è una giovane donna newyorkese in carriera, lavora come matchmaker e, come tale, sceglie le persone, le incrocia, le confronta e le propone, cercando di dar vita a stabili e sostenibili relazioni. Non è un’app, ma il suo ruolo è pressoché identico, anzi, avanza la pretesa di farsi ancor più chirurgico, più conscio e comprensivo di quelle piattaforme digitali che promettono l’anima gemella tramite dati, griglie e algoritmi. Quando il nono matrimonio sorto dall’ennesima compatibilità da lei scovata giunge al giorno fatidico, Lucy incontra Harry (Pedro Pascal), uomo brillante, economicamente realizzato, stabile e, quasi contemporaneamente, riaccoglie nella sua vita John (Chris Evans), suo ex fidanzato squattrinato, di indole e status totalmente opposte rispetto ad Harry. E’ da qui che nasce un triangolo non solo emotivo ma, soprattutto, ideologico: da un lato il sentimento come convenienza dall’altro come rischio.
Nel frattempo il lavoro di Lucy prosegue metodicamente, senza intoppi, almeno fino a quando Sophie (Zoe Winters) – una delle sue clienti più affezionate – subisce una violenza durante un appuntamento da lei organizzato; un vero e proprio fallimento dell’apparentemente impeccabile sistema da lei costruito, se non nelle intenzioni, almeno nelle conseguenze. Un cortocircuito che mette in discussione le sue convizioni, i suoi parametri, il valore stesso di quel meccanismo che traduce i sentimenti in statistiche e i desideri in schede anagrafiche. In un mondo dove ogni cosa – anche l’amore – è funzione di un reddito, Material Love racconta la deriva contemporanea dell’intimità come specchio delle condizioni economiche.
La banalità sorge dal rischio di essere veri

Material Love nasce da un intento nobile e lampante, inscritto già nel titolo: l’amore come materia, il sentimento come oggetto manipolabile, il legame come costruzione. Celine Song, che in passato ha svolto davvero il lavoro di matchmaker, costruisce un film che, rispetto al suo esordio, sembra voler abbandonare l’incanto dell’incomunicabilità e l’eleganza del silenzio per abbracciare uno sguardo più occidentale, calcolatore ed urbano. Se Past Lives era una poesia sospesa tra continenti, Material Love è una commedia razionale, dove ogni passaggio è dichiarato, ogni svolta è spiegata, ogni tensione viene risolta. I personaggi diventano così macchiette funzionali a un discorso teorico: il ricco, il povero, la donna divisa. Tutti sembrano incarnare grandi temi dell’oggi: la freddezza algoritmica, la disumanità dei sistemi relazionali, il valore di mercato dell’individuo. Eppure, proprio in questo dichiarato tentativo di essere vera e autentica, Song rischia di cadere nella trappola della banalizzazione: l’amore, per quanto dissezionato, non si lascia ridurre a formule. E l’intreccio, pur elegante, resta incatenato agli stilemi più prevedibili delle commedie romantiche americane.
La sfida era alta: raccontare ciò che è già noto con uno sguardo personale. Ma la personale esperienza dell’autrice – che tanto aveva dato spessore al suo primo film – qui si trasforma in pretesto tematico e non in motore narrativo. L’algoritmo diventa schema anche per la sceneggiatura. Le emozioni restano sullo sfondo, e l’umanità dei personaggi si piega alla funzione che devono svolgere nel racconto. Così il cuore si scontra con gli status symbol ma non riesce mai a oltrepassarli davvero. Il film ha il coraggio di mostrare il volto disincantato del presente, ma non ha gli strumenti per renderlo universale. O peggio: sembra non volerlo fare.
Material Love: valutazione e conclusione

Non è giusto né produttivo leggere Material Love unicamente come confronto con Past Lives, eppure il paragone viene naturale, quasi inevitabile. Perché entrambe le opere partono dallo stesso punto – una riflessione personale sull’amore – ma viaggiano verso mete opposte. Alla Song va riconosciuta una regia consapevole, lucida, mai trascurata, una tecnica in grado di raccontare il contenuto anche nella sua forma, capace di orchestrare uno stile che resta riconoscibile pur adattandosi al nuovo contesto produttivo. C’è mestiere, c’è idea, c’è volontà. Ma ciò che manca è il peso specifico di ciò che si racconta: Material Love è un film che si guarda con facilità, che scorre senza fatica, che probabilmente raggiungerà più spettatori – ma anche meno cuori. Rimane in superficie, come le dinamiche che vuole mettere in discussione, e lo fa senza chiarire mai se questa leggerezza sia scelta o limite. Un’opera che dice, ma non rivela; che illustra, ma non scopre. La verità che in Past Lives si faceva intuire tra le pause e i respiri, qui viene detta ad alta voce – e proprio per questo perde potenza. Material Love ci sbatte in faccia il nostro presente, ma non ci dà strumenti nuovi per guardarlo. E la materia dell’amore, forse, non si lascia plasmare così facilmente.