Lupo vichingo: recensione dell’horror Netflix

Stig Svendsen firma la regia del primo film sui licantropi girato in terra norvegese, ma il risultato è purtroppo ben al di sotto delle aspettativi. Disponibile su Netflix dal 3 febbraio 2023.

Di mostri e creature di ogni sorta in Norvegia se ne sono visti tanti sul grande schermo. Del resto il mondo nordico e delle leggende norrene sono un serbatoio inesauribile dal quale attingere. Eppure nel cinema fantastico e orrorifico della suddetta cinematografia mancava qualcosa all’appello e quel qualcosa sono i lupi mannari. Si spiega così l’interesse degli amanti del genere nei confronti dell’ultimo arrivato in casa Netflix, ossia Lupo vichingo, presentato come il primo vero film sui licantropi girato da quelle parti, rilasciato il 3 febbraio 2023 sulla piattaforma a stelle e strisce. A firmarne la regia Stig Svendsen, qui alla sua quarta prova nel lungometraggio, che ne ha anche scritto la sceneggiatura insieme a Espen Aukan.

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In Lupo vichingo le leggende norrene si mescolano con gli stilemi del monster-movie

Lupo vichingo cinematographe.it

Il cineasta scandinavo si è sempre mosso nel recinto del cinema di genere, anche ai tempi dei lavori sulla breve distanza, passando senza soluzione di continuità dal thriller all’horror con, risultati piuttosto altalenanti. Lupo vichingo si allinea alla sua precedente produzione, ereditando e portandosi dietro una serie di fragilità e di limiti, compresa la discontinuità di cui sopra, che come in passato finisce anche in questo caso con il ripercuotersi sull’esito. Ecco che anche stavolta ci ritroviamo a fare i conti con un progetto potenzialmente valido, ma che al momento di tirare le somme è risultato non all’altezza delle esigenze degli abbonati della piattaforma e più in generale degli amanti del monster-movie e dell’horror. Quello di Svendsen è un film che non va oltre il classico racconto con al centro una bestia sanguinaria alla quale i personaggi di turno danno la caccia per fermarla dal commettere altri brutali omicidi, uno dei quali commesso durante una festa sotto gli occhi della giovane protagonista, la diciassettenne Thale (Elli Rhiannon Müller Osborne). Questa si si è appena trasferita con i suoi genitori da Oslo in una piccola città chiamata Nybo, dopo che sua madre ha trovato un nuovo lavoro nella stazione di polizia locale. La ragazza diventa di fatto una testimone chiave del tremendo delitto del quale sembra essersi macchiato un licantropo.   

Un ensemble che disperde forze, energie e buoni propositi sulla strada del vorrei ma non posso

Lupo vichingo cinematographe.it

Aperta dall’immancabile spiegazione su come la creatura sia arrivata a nascondersi e a mietere vittime nella foresta antistante alla cittadina norvegese, con un antefatto che riavvolge le lancette dell’orologio sino al 1050 per poi ritornare nel presente storico in cui è ambientata la vicenda, la pellicola attinge tanto alla mitologia nordica quanto agli stilemi del genere di riferimento, creando un ensemble che disperde forze, energie e buoni propositi sulla strada del vorrei ma non posso. Le crepe strutturali di uno script poco originale e fin troppo evocativo, che replica in maniera pigra e senza nessun accenno di personalizzazione storie simili già viste e riviste sullo schermo, finisce con il sottrarre e smorzare ben presto l’entusiasmo e le aspettative del fruitore, al quale l’autore offre un’insipida minestra riscaldata. Lupo vichingo non ha niente da offrire in tal senso, se non l’ennesimo tentativo di offrire una rilettura, nel suo caso in chiave norrena, di The Wolf Man, il classico dei classici in materia di licantropi. Una pietra miliare, quella di George Waggner del 1941, dal quale però non si può prescindere e che rappresenta un punto di partenza per tutti coloro che vogliono mostrare in ogni salsa possibile e immaginabile le gesta degli uomini lupi.      

Effetti speciali poco speciali per un horror che lascia le parti più cruente sempre fuori campo

Lupo vichingo cinematographe.it

Il fatto di non avere nulla di alternativo da offrire allo spettatore rispetto alle innumerevoli proposte del passato, limitandosi solamente a trasferire la figura del licantropo laddove prima non era mai stata cinematograficamente parlando mai avvistata prima, non è sufficiente a giustificare lo sforzo produttivo, che tra l’altro vantava un discreto budget a disposizione per mettere a disposizione del regista il cocktail di effetti artigianali e di CGI per dare vita ai mostri. Quest’ultimi tra l’altro sono decisamente meno efficaci rispetto ai prostetici che, a differenza dei VFX computerizzati, sono di qualità superiore. Se poi togliamo a un horror come questo anche la componente più cruda e sanguinaria, lasciando le mutilazioni e gli smembramenti sempre fuori campo, puntando unicamente sul fattore sonoro, allora il cammino si fa ancora più in salita e gran parte di coloro che hanno deciso di affrontarlo si saranno defilati già a metà strada.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 1

2.1

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