L’Étranger: recensione del film di François Ozon, da Venezia 82
Ozon torna in concorso alla Mostra del Cinema con un nuovo adattamento del romanzo di Albert Camus: la recensione de L'Etranger da Venezia 82.
François Ozon torna alla Mostra del Cinema presentando a Venezia 82 un nuovo adattamento de L’Étranger (Lo Straniero), tratto dal romanzo omonimo di Albert Camus. Si tratta di uno dei libri più importanti della letteratura francese, che ha già avuto una precedente trasposizione sul grande schermo nel 1967 con Marcello Mastroianni. La trama rimane la stessa. In un’Algeri degli anni Trenta, in cui si muovono francesi e algerini, Meursault (Benjamin Voisin) è un tranquillo e modesto impiegato sulla trentina, che finisce in carcere per aver ucciso un arabo. Da lì inizia la storia a ritroso. Mersault ha da poco perso sua madre e partecipa al suo funerale con apparente freddezza e compostezza, senza versare neanche una lacrima. Tornato in città dopo i due giorni di lutto, intreccia una relazione con Marie (Rebecca Marder), e rapidamente riprende la sua normale routine. Almeno fino al giorno in cui si lascia coinvolgere negli affari dell’amico e vicino di casa Raymond Sintès (Pierre Lotin), che picchia la fidanzata ed è minacciato dal fratello di lei. Poi, in una giornata in spiaggia, si consuma la tragedia.
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L’Étranger: Ozon attento conoscitore dell’animo umano adatta Camus con estrema eleganza

In tutto il romanzo di Camus pervade un senso di inadeguatezza, estraneità, ma ci sono anche elementi che richiamano all’esistenzialismo (sebbene l’autore francese non lo associò mai a questo genere). Ozon è un maestro nel mettere in scena le emozioni umane, come già aveva fatto in alcuni suoi precedenti lavori. Come in Frantz, il cineasta predilige il bianco e nero per azzerare le emozioni e permettere al pubblico di immergersi meglio nell’essenza della sua storia, giudicando i personaggi tramite i loro gesti e il linguaggio del corpo. L’Étranger è un film basato sulla forma estetica: ci sono scene piuttosto statiche, dove gli sguardi persi nel vuoto di Meursault sembrano non comunicare nulla. Eppure dicono tanto: il protagonista è impassibile davanti a tutto ciò che lo circonda. Perfino quando Marie – la donna che lui crede di amara – gli chiede più volte se è innamorato di lui ed è lei e proporgli di sposarla. Ozon adatta il classico di Camus con eleganza e con rispetto. L’uso del bianco e nero è anche un espediente per meglio mostrare un periodo storico in cui Oriente e Occidente sono in forte opposizione: gli arabi algerini sono visti come indigeni (a loro è vietato, ad esempio, entrare al cinema o sedersi ai tavoli dei ristoranti), mentre i bianchi sono civili e padroni.
Sullo sfondo, Meursault osserva questa variopinta umanità nel silenzio, affacciato dal suo balcone di casa o per strada. Senza fare mai nulla. Rimane indifferente di fronte a ciò che vede e agli occhi altrui sembra sia incapace di provare qualunque emozione, perfino la più basilare. Come piangere al funerale della propria madre. La sua indifferenza è visibile anche durante il processo che dovrà affrontare per quell’omicidio commesso per caso. Un atto criminoso a cui nessuno sembra trovare una spiegazione, neanche lo stesso protagonista. Il tutto è interpretato molto bene da Benjamin Voisin: bello, ma dotato di uno sguardo glaciale che lo rendono “lo straniero” perfetto.
L’Étranger: valutazione e conclusione

Chi è davvero Lo Straniero del romanzo di Albert Camus? Ozon lo spiega durante il film, e la tensione diventa palpabile nella seconda parte della storia, in cui il protagonista deve affrontare il processo per omicidio. Meursault si sente straniero nella sua stessa terra poiché si discosta da quei valori morali del suo tempo. Ozon, ancora una volta, lascia lo spettatore a porsi domande sulla condizione umana e lo fa attraverso uno dei romanzi più complessi della letteratura europea. Usando sempre una certa eleganza e affidandosi a una regia che riesce a cogliere alla perfezione lo sguardo impassibile di Meursault.
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