Le Fate Ignoranti: recensione

Che stupidi che siamo, quanti inviti respinti, quante parole non dette, quanti sguardi non ricambiati. Tante volte la vita ci passa accanto e noi non ce ne accorgiamo nemmeno.

Tra tutte le opere di Ferzan Özpetek,  Le Fate Ignoranti (2001) è sicuramente quella che meglio sintetizza la poliedrica poetica del cineasta turco naturalizzato italiano. Da sempre votato all’esplorazione degli aspetti più reconditi dei sentimenti umani, Özpetek è riuscito a racchiudere nei 106 minuti di questa magica pellicola tutto ciò che si può nascondere dietro alla parola amore, un concetto libero da qualunque vincolo legato all’orientamento sessuale. Tante le domande alle quali il regista si accosta, suggerendo con sublime delicatezza alcune delle possibili risposte: conosciamo davvero la persona che ci sta accanto? Perché amiamo l’uomo o la donna che abbiamo scelto? E, soprattutto, è possibile abbandonare le invisibili quanto rigide sovrastrutture che la società  impone e abbandonarsi davvero al sentimento, qualunque forma esso assuma?
Le Fate Ignoranti presenta, in un perfetto gioco di specchi ed incastri, il potere del riverbero della freccia di cupido, capace di rimbalzare e trafiggere i cuori nel più sorprendente ed autentico dei modi: attraverso l’ affinità elettiva, una forza pari a quella di un gigantesco magnete ma le cui possibili implicazioni finiscono spesso per sommergere il vero amore sotto la coltre inconscia ed inclemente del Super-Io, severissimo custode del codice morale.

Le fate ignoranti: recensione del capolavoro di Ferzan Ozpetek

Una scena del film

Antonia (la straordinaria Margherita Buy) e Massimo (Andrea Renzi), sono sposati da anni e vivono un’esistenza agiata e felice; lei medico, lui uomo d’affari, la coppia gode del giusto equilibrio tra passione ed indipendenza, in una sorta di formula perfetta fatta di realizzazione personale e desiderio di compiacere l’altro, ingredienti alla base di ogni legame solido e duraturo.  Improvvisamente, un incidente stradale strappa Massimo alla vita, rompendo l’idillio e gettando Antonia in un dolore sordo e catatonico dal quale solo la scoperta di un quadro indirizzato al marito, con la relativa dedica che sottintende un inatteso tradimento, saprà scuoterla:

A Massimo per i nostri 7 anni insieme, per quella parte di te che mi manca e che non potrò mai avere, per tutte le volte che mi hai detto “non posso” ma anche per quelle in cui mi hai detto “ritornerò”…sempre in attesa, posso chiamare la mia pazienza “amore”… La tua Fata Ignorante.

La donna verrà così improvvisamente catapultata nella vita parallela di Massimo, in un mondo opposto al proprio ma fatto di ambienti e persone autentiche, attraverso le quali, ormai vedova,  conoscerà finalmente l’uomo che le ha dormito accanto per 10 anni.
Le Fate Ignoranti dipinge con equilibrio perfetto le infinite possibilità di collisione che l’universo umano offre, accessibili solo attraverso uno sforzo di condivisione grazie al quale è possibile ampliare ed arricchire i propri orizzonti; la borghese Antonia, spinta o forse giustificata dalla malinconia e dal desiderio di conoscere e comprendere la vita segreta del marito, metterà alla prova se stessa, sforzandosi di valicare il pregiudizio e scoprendo non solo un mondo nuovo ma un nuovo lato di sé capace di restituirle la gioia di vivere. Stefano Accorsi (Michele), nella migliore delle sue interpretazioni, grazie alla quale ha conquistato il Nastro d’Argento insieme a Margherita Buy, accompagna Antonia in un lungo e complesso viaggio alla ricerca di una verità che si rivelerà essere molto diversa da quella tanto bramata, una verità tanto preziosa quanto difficile da accettare, nella quale tutto ciò che davvero conta resta bloccato nel limbo del “non detto”, riuscendo tuttavia ad emergere prepotente da piccoli gesti, frasi, sguardi e silenzi, più eloquenti di mille parole.

Le Fate Ignoranti

Michele ed Antonia in una scena del film

Una sceneggiatura curata nei minimi dettagli sostiene l’intensa regia di Özpetek, capace di tirar fuori davvero il meglio dagli interpreti, tutti tasselli indispensabili di un variopinto affresco umano di incantevole bellezza. La grandezza di questo film sta nel suggerire ipotesi senza imporre alcuna risposta, lasciando liberi protagonisti e spettatori di dare una propria lettura all’intera vicenda, intento coronato dall’ultima, emozionante, scena, una porta verso orizzonti inesplorati in cui i “due destini” cantati dai Tiromancino potrebbero finalmente incontrarsi, ma non prima di aver portato a compimento il “percorso profondissimo” dal quale sono stati inesorabilmente segnati.
Un capolavoro perfetto non solo nella giornata del Gay Pride (mostrato durante i titoli di coda),  ma utile per ricordare quotidianamente che  il vero amore non prevede né limiti né restrizioni, reclamando il solo diritto di poter essere espresso e vissuto liberamente.

 

 

Giudizio Cinematographe

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.7
Fotografia - 4.2
Recitazione - 4.2
Sonoro - 4.5
Emozione - 4.7

4.5

Voto Finale