Le ali della libertà: recensione del leggendario debutto di Frank Darabont

Darabont firma il suo debutto sul grande schermo con una pellicola leggendaria e destinata a rimanere nella storia del cinema.

Frank Darabont (Il miglio verde, The Walking Dead) debutta sul grande schermo nel 1994 con Le ali della libertà, adattamento di un piccolo racconto di Stephen King dal titolo Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, contenuto nella raccolta Stagioni diverse. Una storia più che eccezionale per le preferenze del maestro dell’horror americano, ma che si rivela perfetta per la pellicola che ha in testa Darabont.

Ad accompagnare il regista francese nel primo step della sua carriera ci sono niente meno che due mostri sacri come Tim Robbins (Premio Oscar nel 2004 per Mystic River) e Morgan Freeman (Premio Oscar nel 2005 per Million Dollar Baby), la cui chimica sul set ha probabilmente costituito il segreto del successo della pellicola.

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La rivista Empire ha piazzato Le ali della libertà al quarto posto tra i cinquecento migliori film della storia, mentre l’American Institute lo ha inserito al settantaduesimo posto nei cento film migliori di tutti i tempi.

Le ali della libertà: “Qui dentro sono tutti innocenti.”

Le Ali della libertà cinematographe.it

Anni 40, Maine. Andy Dufresne (Robbins), stimato vice-direttore di una banca di Portland, è in macchina fuori casa dell’amante della moglie, una bottiglia mezza vuota in mano e già visibilmente ubriaco. Nella sua testa passano solamente pensieri di vendetta verso i due amanti galeotti, che stanno dando libero sfogo alla loro passione a pochi passi da lui. 1947. Andy Dufresne viene condannato a due ergastoli per il duplice omicidio di sua moglie e del suo amante, nonostante egli continui a proclamarsi innocente, da scontare nel penitenziario di Shawshank.

Il carcere è sotto scacco della tirannia del direttore Samuel Norton (Bob Gunton) e del violento capitano della guardie Byron Hadley (Clancy Brown), i quali seminano il terrore tra i detenuti con umiliazioni continue e violenze psicologiche e fisiche ben oltre il limite della sopportazione umana. Ma oltre il terrore, tra le fredde sbarre e il desertico cortile del carcere c’è spazio anche per del sano calore umano. Andy stingerà un’amicizia fraterna con Red (Freeman), contrabbandiere del penitenziario: qualsiasi cosa ti serva, lui può fartela avere… Per un prezzo ragionevole, ovviamente.

Il loro rapporto sarà la luce che li guiderà attraverso gli orrori e le violenze della fagocitante vita carceraria, il cui peggior scherzo è quello di istituzionalizzare i suoi ospiti, convincendoli di poter vivere solo tra le sue grige e sporche mura.

Le ali della libertà: “La cosa strana è che quando ero fuori ero un uomo onesto, diritto come una freccia. Qui in prigione sono diventato un diavolo!”

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Quello che si crea davanti agli occhi dello spettatore è un microcosmo funzionante, un sistema indipendente e circoscritto in cui vigono delle regole e dei meccanismi completamente diversi dal resto del mondo. Per vivere nel carcere di Shawshank  è  necessario iniziare una nuova vita, essere un uomo diverso e, perché no, anche migliore rispetto a quello che si era fuori. Andy vive i primi anni della sua prigionia vittima degli abusi degli altri carcerati e dei soprusi perpetrati dalle guardie e dal direttore, ma piano piano comincia ad adattarsi, comincia farsi furbo e a capire come poter sopravvivere e, gradualmente, prende il suo posto un uomo nuovo, in grado di vivere di nuovo, costi quel che costi. E anche lo spettatore comincia a mettersi comodo e a trovare il suo spazio nel film, proprio come Andy nel carcere. Si respira anche lì dentro dopotutto e anche lì dentro è possibile ridere, trovare l’amico più prezioso, insegnare al prossimo e sentirsi uomini.

Red è osservatore narrante dell’incredibile parabola del suo migliore amico, diventato piano piano il prigioniero più famoso del carcere. Il più vicino al direttore, il preferito delle guardie, capo della biblioteca e mentore per i giovani spaventati che devono iniziare a scontare i loro anni. Quando sembra ormai che la vita nel carcere possa funzionare, la crudele verità tornerà a galla. Impossibile da fuggire o allontanare. Lì dentro non si è liberi, la libertà è fuori. Andy non ha perso mai di vista la verità, non ha mai mentito a se stesso e, soprattutto, non ha mai perso la speranza. Per questo sarà pronto quando il momento giusto arriverà.

Le ali della libertà: “O fai di tutto per vivere o fai di tutto per morire.”

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Al pari di altri capolavori del genere, come Fuga da Alcatraz o Papillon, Le ali della libertà è in grado di far assaggiare agli spettatori l’importanza della libertà. E per farlo gli sbatte in faccia cosa vuol dire la reclusione, cosa vuol dire perdere la dignità e non sentirsi più uomini, non sentirsi più in grado di essere uomini. La prigione ti entra in testa, ti toglie la libertà prima nell’anima e poi nei fatti. I due protagonisti del film sono perfetti per portare in scena uno scontro che prima di tutto è emotivo, figlio delle paure e delle capacità adattive più primitive dell’essere umano.

Andy non perde mai la speranza e non perde mai di vista la verità: l’importante è sentirsi uomini, essere liberi e solo fuori è possibile. Mentre Red ha perso la speranza già da parecchi anni e ormai ha paura ad uscire, non pensa di essere in grado di sopportare la lontananza di quelle strane mura che tanto odi e che tanto finisci per amare. Il loro destino, per quanto impensabile, li troverà legati, fino alla fine.

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Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8