TFF38 – Las Niñas: recensione del film di Pilar Palomero

Arriva al Torino Film Festival l'esordio di Pilar Palomero, una storia disincantata e personale su quel periodo di cambiamenti che è la preadolescenza.

Un esordio interessante quello di Pilar Palomero, che arriva al Torino Film Festival con il suo Las Niñas (titolo internazionale Schoolgirls) dopo aver riscosso successi nei festival di tutta Europa. D’altronde, non può non colpire una storia così personale, sia per la regista sia per lo spettatore: chi di noi, infatti, non è passato da quel periodo turbolento, prima dell’adolescenza vera e propria, in cui si è in bilico tra un’infanzia ancora presente e una crescita ancora agli albori? Proprio questo ci racconta Las Niñas, unendo con il giusto bilanciamento la sfera intima della giovane protagonista Celia a un contesto sociale più ampio, quello della Spagna degli anni Novanta. Con un stile scarno, quasi documentaristico, Pilar Palomero propone una riflessione interessante sulla crescita, ponendo luce su quanto l’ambiente che circonda una ragazzina influisce sulla donna che diventerà.

La (dis)educazione di un’adolescente sensibile

las ninas cinematographe.itCelia (Andrea Fandos) ha dodici anni e studia in una scuola femminile religiosa a Saragozza. Vive sola con la madre (Natalia De Molina) e del padre sa poco e nulla, solo che è morto prima che lei nascesse, o così le hanno detto. L’arrivo nella sua classe di una nuova compagna Brisa (Zoe Arnao), da Barcellona, inaugura una stagione di nuove scoperte e vecchi e nuovi turbamenti. Come la Spagna del 1992, e come molte ragazze cresciute in quegli anni, Celia è divisa tra un’infanzia votata all’obbedienza alla madre e ai dettami della religione e uno stile di vita più emancipato e apparentemente ribelle, ma anche più sincero.

Las Niñas: un ritratto di crescita privato e collettivo

las ninas cinematographe.it

C’è un forte dualismo, nel modo in cui Pilar Palomero racconta la storia di una generazione di donne – la sua, in effetti – in bilico tra la vecchia educazione e i progressi moderni, nella cornice della Spagna degli anni Novanta. Da una parte ci sono le lezioni di cucito, i giochi da bambine, Dio che esiste “perché sì” e il cineforum d’indottrinamento, dall’altro la musica, il primo rossetto, le sigarette, la giacca jeans, i ragazzi. E Celia, una ragazzina particolarmente sensibile, si sente sballottata da queste due realtà, non sapendo precisamente da che parte dovrebbe stare, cercando di fidarsi di quegli adulti – sua madre in particolare – che dovrebbero essere il suo punto di riferimento, ma che non sono in grado nemmeno di dirle la verità sulla sua storia. Con i movimenti della macchina da presa, gli ambienti claustrofobici e i colori scuri e spenti, percepiamo il disagio di Celia, ne sentiamo la mancanza di punti di riferimento e viviamo con lei la ricerca di un modo di affrontare questo dualismo che la disorienta.

Racconta la regista: “In Spagna siamo state la prima generazione incoraggiata a diventare chiunque volessimo diventare, a studiare, ad essere indipendenti. Las Ninas è la storia di molte donne di oggi raccontata attraverso l’educazione che hanno ricevuto nella Spagna del 1992”.

Eppure, nonostante venga usato uno spunto così personale e una dimensione così specifica – quella Spagna degli anni Novanta culturalmente tumultuosa e in bilico tra passato e futuro – Las Niñas parla anche alle generazioni moderne. Anche se le epoche passano, infatti, la preadolescenza è una fase che accomuna tutti, e che oggi come ieri segna la persona che si diventerà in futuro.

Uno sguardo documentaristico per raccontare l’importanza di trovare la propria voce

las ninas cinematographe.itIntimo come un diario personale, complesso come un racconto storico, Las Niñas non è un film per tutti: non piacerà soprattutto a chi cerca l’immediatezza o il cinema veloce, perchè Pilar Palomero si prende tutto il tempo che vuole per raccontare la storia. Il risultato è un film a tratti documentaristico, con pochissima musica, lunghi silenzi, dialoghi appena accennati, risposte vaghe e sguardi persi. Scelte che rendono la pellicola indubbiamente intima, ma anche piuttosto lenta e non sempre facile da seguire. Questo non sminuisce, però, il messaggio importante che la regista vuole trasmettere, cioè quanto conta riuscire a trovare la propria voce in mezzo a un mondo dove siamo bombardati da mille e mille voci diverse, tutte che cercano di dirci cosa dobbiamo fare, come dobbiamo comportarci, come dobbiamo apparire. Emblematiche, in questo senso, l’apertura e la chiusura della pellicola: all’inizio viene detto a Celia di stare zitta durante le prove di canto, per simulare la canzone con le labbra e lasciare spazio alle coriste più brave. Ma durante il saggio finale, Celia ha trovato il suo coraggio, e canta indipendentemente dal volere dell’insegnante, o dal suo talento. Il processo di (dis)educazione l’ha portata a non ascoltare gli indottrinamenti della scuola e nemmeno quelli opposti della società: Celia canta perché ha trovato la sua voce, e anche se diversa dalle altre, stonata e imprecisa, finalmente vuole farla sentire. Perché è unica.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.7