La versione di Barney: recensione

Non sempre è facile accontentare gli spettatori, quando si opta per una trasposizione cinematografica di un bestseller letterario: il rischio è quello di sollevare, a fine visione, un vortice di insoddisfazione e di domande del tipo “perché questa parte è stata omessa?, “Perché scegliere questo attore e non quest’altro?”,”Perché cambiare il finale?”, e via dicendo.

Questo, fortunatamente, non è il caso de La versione di Barney (Barney’s Version) romanzo di Mordecai Richler del 1997 che, con 100000 copie vendute solo in Italia, ha avuto il privilegio di diventare nel 2010 un film altrettanto bello e ben realizzato. Grazie alla regia di Richard J. Lewis ed un cast che più appropriato non si sarebbe potuto trovare, la pellicola riesce a cogliere in 132 minuti tutta l’essenza e l’intensità del testo dello scrittore ebreo, scomparso nel 2001.

Descrivere il personaggio di Barney Panofsky (interpretato da un eccezionale Paul Giamatti che per la sua performance si è aggiudicato un Golden Globe) non è semplice: produttore televisivo di soap opera di basso livello, a capo della didascalica “Totally unnecessary productions“, il nostro protagonista è un uomo di mezza età con alle spalle una vita tanto dissoluta quanto esilarante: accanito bevitore ed amante delle donne- ma solo dal lato più frivolo del termine –  decide infine di mettere in gioco tutto se stesso per una bella newyorkese incontrata in occasione di un matrimonio…ops, volevo dire del suo  (secondo) matrimonio. I vizi, tuttavia, sono duri a morire e l’eccessivamente possessivo e non certo “compagno modello” Barney finisce, dopo anni di idillio e due figli,  per perdere per sempre la sua anima gemella,  rimuginandoci sopra per il resto dei suoi giorni.

La Versione di Barney Miriam

Barney e Miriam in una scena del film

Sullo sfondo dei disperati e grotteschi tentativi di riconquistare la sua dolcissima Miriam (Rosamund Pike, protagonista di Gone Girl – l’Amore Bugiardo, al cinema dal 18 dicembre), l’ipotesi che Barney abbia commesso un omicidio: ai tempi del secondo matrimonio, infatti, il suo migliore amico Boogie è misteriosamente scomparso dopo una colluttazione con arma da fuoco, causata dalla scoperta in flagranza dell’adulterio commesso insieme alla allora signora Panofsky; tale mistero tormenterà la mente del lettore e dello spettatore rispettivamente fino all’ultima riga e  l’ ultima scena.

La grandezza de La versione di Barney, però, sta proprio nel fatto che imparando a conoscere il protagonista, lo spettatore non ha più bisogno di sapere se è colpevole o innocente per affezionarglisi. E questo non perché riteniamo lecito il suo eventuale reato ma perché l’immensa ricchezza delle sfaccettature di questo personaggio gigantesco riesce a mettere in ombra qualunque macchia del suo passato, lasciando emergere solo un’immensa tenerezza per un uomo che, nonostante tutto, ha dato il meglio di se stesso per il vero Amore: forse non un granché, tutto sommato,  ma comunque il meglio.

Il signor Panofsky appare così come un uomo senza filtri e senza limiti che agisce nel bene e nel male spinto da una fin malsana onestà intellettuale e sentimentale, una sincerità tanto infantile quanto disarmante che lo rende vittima dei suoi stessi, sfacciati, desideri. Un uomo i cui impulsi precedono immediatamente l’azione, qualunque siano le conseguenze e senza la salvezza di  un pensiero razionale anti-disastri.

La Versione di Barney recensione cast

Una scena del film girata a Roma: il primo matrimonio

Con la partecipazione straordinaria di un Dustin Hoffman davvero sopra le righe, nel ruolo dello “svalvolato” papà Izzy, ed il più che inaspettato cameo del grande David Cronenberg nei panni del regista di soap, La versione di Barney è pronto a regalare due ore di profondo divertimento e commozione. Imperdibile.

Giudizio Cinematographe

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4.5
Emozione - 4.5

4.6

Voto Finale