La terrazza: recensione del film di Ettore Scola

Il film di Ettore Scola con Vittorio Gassman racconta la decadenza della società italiana.

La terrazza è un film del 1980 diretto da Ettore Scola, presentato in concorso al 33º Festival di Cannes, con un cast composto da Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Carla Gravina e Milena Vukotic. Il Maestro Ettore Scola, dopo aver diretto capolavori quali C’eravamo tanto amati, Brutti, sporchi e cattivi e Una giornata particolare, scrive una commedia amara, con Age e Scarpelli, ambientata su una terrazza romana, dove regolarmente si incontrano vecchi amici e colleghi, ospiti di una famiglia dell’alta borghesia romana.

Una serata mondana diventa l’occasione di incontro e di scontro tra intellettuali e da questo luogo si sviluppano poi man mano le storie dei personaggi principali: Enrico è uno sceneggiatore in piena crisi esistenziale e lavorativa, Amedeo è un produttore sull’orlo del fallimento, Luigi è un giornalista triste e sconsolato e Mario, ex partigiano, è diventato un deputato del partito comunista senza ideali. La terrazza è il palcoscenico in cui si intrecciano le vite e le esperienze dei personaggi ed è il luogo in cui, un anno dopo, si rincontreranno i protagonisti, forse più abbattuti, consapevoli e accomunati dallo stesso dolore.

La terrazza: il documento d’epoca di Ettore Scola sull’Italia degli anni ’80

La terrazza Cinematographe.it

La terrazza focalizza la propria attenzione sulla crisi dei valori e degli ideali di una certa società italiana: Scola riflette il disagio, la disillusione e il fallimento di un’epoca e della sua rivoluzione, da cui emerge un affresco corale di una borghesia e di un ceto medio-alto che ha smarrito ogni ideale. La commedia umana che prende vita è figlia di situazioni ridicole, tristi e brucianti in cui i protagonisti sono vittime di una quotidianità e di una realtà che non riescono a dominare, preda di falsi ideali e di un’ipocrisia opprimente che li rende, giorno dopo giorno, sempre più depressi e avviliti. L’esistenza dei protagonisti è svuotata di ogni senso, le loro vite rimangono aggrappate ad una nostalgia di un passato rigoglioso, ad un fermento che non c’è e ad una felicità e una giovinezza inarrivabili.
La struttura episodica de La terrazza, nonostante tutto, possiede una propria compattezza e una linearità tematica che non abbandona mai il sottotesto drammaturgico delle scene. Dopo i diversi segmenti narrativi, che permettono alla trama di dipanarsi e affondare nei drammi dei protagonisti, la storia torna sistematicamente ad abbracciare il luogo principale della pellicola, quella terrazza che è il centro, l’agorà, il palcoscenico della commedia umana che sottende un valore simbolico, che un po’ ricorda il teatro di Via Veneto della Dolce Vita di Federico Fellini. 

La terrazza racconta la decadenza della società italiana

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“La terrazza è il luogo dove, nelle sere d’estate, gli intelligenti romani cenano in piedi. Sono intellettuali, sono borghesi, sono preoccupati: perché sono in età pensionabile, perché il loro prestigio è in declino, per calo d’ispirazione creativa o per mancanza di progetti culturali, per delusione da rivoluzioni mancate o per rimorsi da complicità prestate a misfatti culturali”. Ettore Scola descrive così il suo capolavoro, un documento d’epoca sull’Italia degli anni ’80, in cui l’unica cosa che riesce a salvarsi dall’abisso dell’immobilismo e del decadimento interiore è l’amicizia: l’unico tema e valore che sopravvive alla tristezza, ad un presente deludente, perché si aggrappa al desiderio dei protagonisti di raccontarsi nella loro inadeguatezza, in una crisi esistenziale figlia di un lavoro insoddisfacente, amori sbiaditi dal tempo e dalla mancanza di validi ideali.

Nonostante La terrazza racconti la decadenza della società italiana e l’impotenza nel vedersi passare la vita davanti, riesce a dirottare pessimismo e tristezza facendole sorvolare nell’ultima scena, in cui i protagonisti si rincontrano dopo un anno e si liberano dei loro fardelli cantando, ridendo e tentando di dimenticare la loro inettitudine e l’impossibilità di cambiare le cose. Ma se c’è qualcosa che è ancora più emblematico, in questa scena, del canto illusorio degli uomini, sono i volti delle mogli, delle donne durante la festa: le donne sembrano messe da parte, apparentemente, nel lavoro di Scola ma non è così.

L’unica cosa che riesce a salvarsi dall’abisso è l’amicizia

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Le donne sembrano vivere nell’ombra, in disparte, ma in realtà sono al centro della struttura sociale, sono emancipate, non hanno bisogno dei mariti, sono donne che tutto sommato sono riuscite a resistere al tempo, al cambiamento della società, una società che hanno contribuito a cambiare; sembrano non invecchiare, diversamente dagli uomini che non restano giovani, invecchiano: sono stati ingannati dalla vita, dal tempo, da una giovinezza in cui hanno sperato di abitare per sempre. Gli uomini sono stati costretti a cambiare, a guardare al passato con nostalgia, rabbia, malinconia, e adesso sono costretti ad accettare questa vita passivamente, un’esistenza in cui non possono fare altro che sentirsi inutili.
Regia - 5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 4
Emozione - 5

4.5