La scuola degli animali magici: recensione del film

Il fantasy adventure per tutta la famiglia di Gregor Schnitzler, tratto dai romanzi di Margit Auer e al cinema dal 28 aprile 2022.

La scuola degli animali magici, il film diretto da Gregor Schnitzler e tratto dalla fortunata serie di libri per bambini scritti da Margit Auer, in uscita nelle sale italiane dal 28 aprile 2022 grazie ad Adler Entertainment, ci porta nella piccola comunità della scuola di Winterstein.
La saga racconta le avventure di un gruppo di ragazzini, cui vengono affidati alcuni animali parlanti. Il film che ne trae Gregor Schnitzler è un adattamento abbastanza fedele, che mette insieme una messa in scena reminiscente dei classici televisivi europei per l’infanzia (primo fra tutti Pippi Calzelunghe, 1969, di Olle Helbom) con l’animazione digitale, in stile disneyano, di Tomer Eshed.La vicenda narrata è molto semplice: Ida (Emilia Maier) è la nuova arrivata alla scuola di Winterstein e, a causa della sua esuberanza, trova non poche difficoltà nel farsi accettare dagli altri bambini. Stabilisce però un rapporto d’amicizia con il timido Benni (Leonard Conrads). La nuova insegnante della classe di Ida e Benni, la maga in incognito Mrs. Cornfield (Nadja Uhl), è la sorella di Mortimer Morrison (Milan Peschel), il custode degli animali magici. La donna decide che saranno proprio i due bambini a ricevere le prime creature fatate: la volpe Rabbat (per Ida) e la tartaruga Henrietta (per Benni). Nel frattempo la scuola è messa in subbuglio da alcuni misteriosi furti e toccherà ai due protagonisti e ai loro nuovi amici, risolvere il mistero.

L’infanzia al cinema: le premesse per analizzare La scuola degli animali magici

La rappresentazione dell’infanzia nella storia del cinema ha una lunga tradizione e si caratterizza per la molteplicità di visioni fornite dai vari autori. Queste possono essere costruite, di volta in volta, su un richiamo all’esperienza comune degli spettatori (per esempio lo stupore infantile in E.T., 1982, di Spielberg) o su una traslazione in termini estetici del ricordo della crescita e delle relative difficoltà (si pensi all’autobiografico I quattrocento colpi, 1959, di Truffaut). Gli approcci con cui si attuano tali operazioni, secondo Sinyard (Children in the Movies, 1992), sono principalmente due, quello freudiano e quello romantico. Il primo legge le dinamiche relazionali adulte come funzioni dell’esperienza infantile, mentre il secondo intende l’infanzia come luogo dell’innocenza e dell’immaginazione e ruota attorno al rapporto con la natura e gli animali.

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Il film di Schnitzler mette insieme i due approcci restituendo così una narrazione che non riesce a decidere se prendere la strada dell’avventura fantastica o rimanere banalmente legata a un raccontino pedagogico, per adulti in miniatura. Da una parte assistiamo, infatti, alla storia dell’amicizia fra Ida e Benni, messa in crisi dall’attrazione che la ragazzina prova per Jo (Loris Sichrovsky), il bad boy della scuola. Dall’altra si tenta di costruire un adventure movie in cui i ragazzini e gli animali straordinari devono scoprire il ladro misterioso. Le due linee narrative non riescono ad amalgamarsi, togliendo l’una spazio all’altra, così che le dinamiche sentimentali non hanno modo di essere approfondite, mentre la caratterizzazione dei protagonisti si riduce alla rappresentazione irrealistica di bambini emotivamente troppo maturi. Il contesto avventuroso appare completamente depotenziato da un setting familiare e da un’azione priva di qualsiasi elemento perturbante. Inoltre, nel maldestro tentativo di sopperire a tale pecca, i dialoghi e la scenografia, vengono infarciti di riferimenti ridondanti ai dinosauri, ai pirati, a Harry Potter e alle Tartarughe ninja.

L’infanzia degli adulti risulta falsa

In definitiva il nucleo tematico dell’avventura fantasy, che vorrebbe essere l’esaltazione della diversità nei confronti di una società omologante, attraverso un rapporto innocente con la natura e gli animali, si estrinseca in una regia televisiva piatta, che intende l’altro/animale come un doppio dell’umano. Questa modalità narrativa per cui all’animale vengono attribuite delle caratteristiche antropomorfe, denota un pensiero antropocentrico, che annulla le differenze fra umano e ferino, a favore del primo.

In una simile visione, il mondo naturale e gli animali hanno valore solo in virtù della loro capacità di essere ricompresi nel dominio dell’uomo, contribuendo, in qualche maniera, al corretto funzionamento di quest’ultimo. Le creature fantastiche hanno, infatti, la sola funzione di agevolare il processo di maturazione di Ida e Benni, finendo per essere ridotte a meri strumenti emotivi a disposizione degli esseri umani. Non è dunque un caso che in alcuni momenti della storia queste si trasformino in giocattoli di peluche. Viene palesato – senza ombra di consapevolezza critica da parte di Schnitzler e dei suoi sceneggiatori – quel processo di reificazione della natura, dunque dell’altro e della diversità, in atto all’interno della contemporanea società dei consumi. Un processo volto a ridurre ogni differenza, sociale, intellettuale, psicologica, culturale o addirittura di specie, a un semplice espediente commerciale per vendere un prodotto. In questo caso, per vendere a un pubblico di genitori iperprotettivi, un film che racconta l’infanzia con la falsità intellettuale tipica di quegli adulti, che han dimenticato quanto inquietante e caotico possa esser quel periodo magico della vita.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 1

1.7