La Moglie di Tchaikovsky: recensione del film di Kirill Serebrennikov

Il regista russo Kirill Serebrennikov alle prese con una storia di passione morbosa, ricerca dell'identità e segreti da nascondere. La Moglie di Tchaikovsky arriva nelle sale italiane il 5 ottobre 2023.

La Moglie di Tchaikovsky, in sala in Italia il 5 ottobre 2023 per Arthouse di I Wonder Pictures, regia di Kirill Serebrennikov, è una novità costruita su un’abitudine. Non è la prima volta che il cinema si concentra sul burrascoso, impossibile e, a suo modo, tragico matrimonio tra Pëtr Il’ic Tchajkovskij e Antonina Ivanovna Miljukova. Lui di mestiere fa il compositore, tra i più grandi della storia della musica (russa e non solo), lei è la donna nell’ombra. Va considerato che, per l’epoca, la Russia zarista del Tardo Ottocento, una donna non è più di un nome e cognome sul passaporto del marito. Una proprietà, un’identità costruita sul riflesso e la volontà altrui. Oggi invece?

La Moglie di Tchaikovsky cinematographe.it recensione

Evidente come il film biografico guardi a una storia di ieri per raccontarci di una tensione per l’identità comune a ogni donna e ogni epoca. Il regista russo, che il pubblico italiano ricorderà per Summer (2018), si muove sul filo di una sottile ambiguità. Recuperando dall’oblio la storia dell’amore impossibile e ossessivo di Antonina, di lato rievoca vita e intimità di un gigante della cultura, a cavallo tra la fine del XIX e i primi spiragli del XX secolo. Di Tchaikovsky, del suo privato, sottolinea Serebrennikov, si sa apparentemente molto; in realtà, poco o nulla. Non è la prima volta che il cinema si occupa di lui? La storia di Pëtr e Antonina l’aveva già raccontata Ken Russell in L’Altra Faccia dell’Amore (1970), con Richard Chamberlain e Glenda Jackson. Ma quello era un film su Tchaikovsky e basta. Quello di Kirill Serebrennikov è un film su una donna, su una morbosa ossessione, su un amore e una promessa tradita. Sulle storture di una società vicina alla fine. Poi, ma solo poi, è un film su un uomo grande e piccolo, forte e debole. Con Alyona Mikhailova e Odin Lund Biron. In concorso a Cannes 2022.

La Moglie di Tchaikovsky: un matrimonio terribilmente sbagliato

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Antonina Ivanovna Miljukova (Alyona Mikhailova) guarda Pëtr Il’ic Tchajkovskij (Odin Lund Biron) di nascosto, da lontano, raccolta nel suo angolino. Lui è già un grande compositore o almeno è avviato su quella strada. Si muove agevolmente nei circoli culturali di Mosca e San Pietroburgo, scapolo e apparentemente in controllo della situazione. Antonina è una perfetta sconosciuta, vive senza il padre ma con la madre e la sorella, ha aspirazioni musicali ma nessuna speranza di farcela perché è una donna. Antonina ama Pëtr, lui invece no, per niente. Si sposano comunque, l’anno è il 1877. La coppia passerà pochi momenti insieme. Pëtr non è fatto per un matrimonio convenzionale. Non ha ritmi e inclinazioni per una vita di coppia, da compositore scapolo è più felice e produttivo. Soprattutto, non ama le donne.

Ma questo Antonina non lo sa. Kirill Serebrennikov, che di La Moglie di Tchaikovsky è regista e sceneggiatore, si concede il lusso di due grandi omissioni. Non ci siamo per la nascita della passione di Antonina, è lì da sempre, il film la affronta quasi fosse un dato biologico, una stringa di DNA. Antonina ha i capelli di un certo colore, un certo taglio degli occhi e ama Tchaikovsky. Delimitarne il sentimento, accordargli dei limiti, un inizio e una fine, vuol dire umanizzarlo, normalizzarlo, riportarlo a terra. Così invece, la sua forza è impetuosa, terribile e impossibile da ridimensionare. La seconda omissione, deliberata, riguarda Pëtr. Resta un mistero perché accetti di sposare Antonina.

Si possono fare delle congetture. C’è una lettera, commovente, che Antonina spedisce e in cui gli confessa tutto il suo amore. Lui è colpito e, possibile, sfrutta l’amo della passione per costruirsi, tramite il matrimonio, una perfetta apparenza borghese che protegga la sua intimità, la sua vita sentimentale, la sua omosessualità, dall’omofobia e dalla crudeltà sociale. Un colossale autoinganno, insomma. La Moglie di Tchaikovsky non ha nessuna premura di chiarire le zone d’ombra. Sappiamo solo che il matrimonio è condannato in partenza. La convivenza è impossibile; l’impossibilità di trovare reciproca soddisfazione affonda la coppia. Pëtr fugge, abbandona la moglie e si rifiuta di mantenere anche il più insignificante contatto. Antonina, che infine scopre la verità, resta sola ma non cerca libertà e indipendenza fuori dal matrimonio. Rimane, a dispetto di tutto, la moglie di Tchaikovsky. Non cede a compromessi, rifiuta il divorzio e lentamente trasforma il suo amore in una patologica ossessione. Nell’idea fissa Antonina cerca, paradossalmente, la sua emancipazione.

Antonina e Pëtr sono due risvolti della stessa medaglia

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Kirill Serebrennikov ribalta l’asimmetria. Se nel film di Ken Russell la storia di Antonina era un capitolo a parte nella vita di un grande uomo, raccontata dal punto di vista del grande uomo che era anche il centro tutte le tensioni narrative, sentimentali ed estetiche – per quanto, affidando la parte alla musa Glenda Jackson, reduce dal colossale successo di Donne in Amore, il film della reciproca consacrazione, emergeva un’attenzione inedita per la personalità di lei – qui cambia tutto. Il sottotesto è politico: recuperare le ragioni e la verità umana di tutti quelli (tutte quelle) che la la storia ha espulso ingiustamente. Alla leggibilità del film, avrebbe giovato un maggiore equilibrio. Perché? Perché in fondo, Antonina e Pëtr sono i due risvolti della stessa ingiusta medaglia. Sono entrambi “spossessati”.

Traditi e defraudati da una società sbagliata, nell’ideologia come nelle piccole consuetudini; non è un caso che Antonina muoia, sola e in manicomio, nel mezzo dei tumulti dell’anno cruciale della storia russa moderna: il 1917 (il marito era morto nel 1893). Una società ingiusta, che si accanisce sulle legittime rivendicazioni di felicità dei singoli, è condannata in partenza. Vale per la Russia di fine Ottocento, vale, sottolinea ambiguamente Kirill Serebrennikov, oggi. Pëtr sfrutta Antonina per proteggersi dalla crudeltà del mondo. Il suo amore di plastica, come quello del dandy “Evgenij Onegin”, protagonista del capolavoro in versi di Puškin che stava musicando al momento dell’incontro con Antonina – opera che lei interpreterà come la radiografia del loro matrimonio – è un mix di cinismo e vulnerabilità. L’amore di Antonina è una passione sconfinata, egoista e commovente. Oppressa da necessità intime e pressioni sociali, ne fa la sua perversa strada per l’emancipazione. Non può essere libera e alle sue condizioni, cerca di esserlo come moglie di Tchaikovsky. È il suo modo di restare visibile e definire un’identità altrimenti sfuggente.

Follia e ossessione non si maneggiano con facilità. La Moglie di Tchaikovsky mette in scena la vita e passione di Antonina mantenendosi a debita distanza. La ricostruzione storica è pregevole e curatissima, il clima è incalzante, il film merita la visione in sala, lo merita l’immagine, lo merita l’emozione. Ma resta tutto su un piano di esteriorità. Kirill Serebrennikov corteggia il mistero di Antonina, la sua ossessione e la sua personalità. Sa di non poterlo scavare fino alla profondità decisiva, quindi sceglie di fissarlo dall’esterno. Qualcosa si perde. Il film è fluido: dramma, melodramma, rievocazione storica, affresco politico, performance nel senso più puro del termine, intermezzi di danza e atmosfere oniriche. Si affida all’intensa credibilità, emotiva e psicologica, dei bravissimi protagonisti, Alyona Mikhailova, animata da una febbre ansiosa e una volontà di ferro. E Odin Lund Biron, vittima di un gioco crudele e a sua volta crudele. Un film vitale, fermo sulla soglia dell’autentica grandezza. La materia era imponente.

La Moglie di Tchaikovsky: conclusione e valutazione

Il coraggio, politico, sentimentale, estetico, di La Moglie di Tchaikovsky, è di mettere al centro della storia due protagonisti terribilmente ambigui, non sempre empatici. Il film ha mordente, visivamente è molto appagante, animato da una profonda tensione emotiva. Non è una personalità facile da decifrare, quella della protagonista, resta l’impressione di un’occasione colta a metà. Paradossalmente, mantenere i due protagonisti su un piano di parità, riconoscendone il disagio condiviso di personalità inespresse per storture della società, avrebbe chiarito meglio anche Antonina. Il loro è un perfetto “non-amore”, in cui affinità e divergenze creano un legame fortissimo, che funziona però nella distanza e non nell’armonia. Kirill Serebrennikov coglie questa verità, ma non l’approfondisce.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.1