La douleur: recensione del film con Mélanie Thierry

Un ritratto femminile struggente e autentico è al centro de La douleur, tratto dal romanzo autobiografico di Marguerite Duras.

La guerra delle donne, la resistenza emotiva di chi attende un ritorno e il confronto con la realtà, ben lontana dal romanticismo dell’assenza. La douleur di Emmanuel Finkiel, coraggiosa proposta della neonata società di distribuzione Valmyn (insieme a Wanted) è un racconto dilatato di passione e sofferenza, interpretato da un’incantevole Mélanie Thierry. Il film, tratto dal romanzo di Marguerite Duras, sarà nelle sale italiane a partire dal 17 gennaio.

La douleur: la guerra vista dalla donne

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Marguerite (Mélanie Thierry) è una scrittrice 32enne che vive e lavora nella Parigi occupata dai collaborazionisti del Governo di Vichy. Moglie di un membro della Resistenza francese (e attivista politica lei stessa), si trova un giorno ad affrontare l’arresto del suo uomo e l’attesa disperata del suo ritorno. Le notizie che arrivano nella capitale francese diventano sempre più preoccupanti e l’unico modo per conservare un contatto col compagno è intrecciare un’ambigua relazione con il poliziotto nazista Rabier (Benoit Magìmel). I giorni passano così, con ritmo ossessivo, tesi in una preoccupazione che realizza – istante dopo istante – la portata immensa dell’orrore nazista.

Guarda qui La Douleur: trailer e poster del film di Emmanuel Finkiel

La bellezza e la malinconica sensualità di Marguerite, insieme a un continuo resoconto dei suoi pensieri, costituiscono il filo conduttore dell’intero film, un profondo ritratto della psicologia femminile. Quello raccontato da Finkiel, che trae ispirazione sia dal suo bagaglio di letture, sia da una vicenda tristemente vicina alla sua storia personale, è un punto di vista abbastanza originale nel racconto di una guerra: non vedremo mai, durante il film, il campo di concentramento, la morte, la tortura, ma potremo esaminarne le conseguenze sui volti e sugli animi dei superstiti.

Nonostante le aspirazioni di una nostra ex-miss Italia, la guerra ha portato via con sé le vite di molte donne, anche se sono rimaste a casa. La loro psiche si è lentamente sfibrata nella sospensione, nel senso di colpa, nella stanchezza di chi può affidarsi solo a una fede cieca per rinnovare dall’oggi al domani la speranza di un ritorno. Eppure, come si accorgerà Marguerite, da un violenza inaudita come quella messa in atto dai nazisti sui loro prigionieri, non si può mai realmente tornare.

La douleur è un film difficile, che richiede tutto l’impegno del pubblico

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Il cinema di Finkiel assorbe la lezione dei maestri del cinema francese (di cui il regista de La douleur è stato allievo diretto) e la adatta a una storia estremamente drammatica e cerebrale. Tra la firma della Duras e l’influenza di Godard e Kieślowski, La douleur sia la quintessenza del classicismo d’oltralpe nella settima arte. Il risultato è un linguaggio familiare ai cultori del genere: una storia non tanto di trama, quanto di sensazioni in cui a fare da protagonisti assoluti sono i pensieri e le riflessioni della protagonista su di sé, sulla Storia e sulle relazioni.

Sicuramente non abbiamo a che fare con un film di facile fruizione, ma di un bell’impegno a cui dedicarsi nelle sue abbondanti due ore. La narrazione dilatata, che precipita nella (relativa) rapidità del finale, chiarisce subito che il fulcro del racconto non è tanto la vita o la morte dello scrittore Robert Antelme (Emmanuel Bourdieu), ma solo e unicamente come Marguerite vive l’attesa. La disperazione della donna e il suo scisma interiore diventano così importanti da trascendere il privato e diventare manifestazioni universali della tortura di chi non può far altro che restare a casa e aspettare. Mélanie Thierry si assume la responsabilità di un one woman show (se così si può dire), reggendo tutta la durata del film unicamente con la sua espressività, discreta e impercettibile in alcune scene, tanto quanto esplosiva in altre.

La trascuratezza in cui la donna si ritrova a vivere, col passare dei mesi e una volta terminata l’adrenalina del conflitto aperto, porta l’attrice a un lavoro davvero notevole sul proprio corpo. La magrezza, le occhiaie, persino la noncuranza dell’igiene personale sembrano distruggere la quarta parete e presentarsi in tutta la loro devastante autenticità, scuotendo e scombussolando il pubblico messo davanti a una sofferenza insopportabile.

Individuo e collettività ne La douleur

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Nonostante sia un film basato su un unico punto di vista, quello della protagonista/scrittrice Marguerite Duras, l’abilità dell’autrice (e del regista) sta anche nel confezionare ritratti rapidi ma persistenti di importanti personaggi secondari. Tra questi, spiccano i compagni di Marguerite e Robert e – tra tutti – il miglior amico di lui e amante di lei Dyonis (il cantautore Benjamin Biolay). La durezza del carattere del personaggio e l’ambiguità del suo rapporto con Marguerite lo connotano come estremamente complesso, diviso tra numerose spinte: dalla forte fede politica e il coraggio dell’opposizione al regime, all’affetto per l’amico disperso, fino all’irresistibile desiderio che lo trascina nella relazione clandestina con Marguerite. La corazza che l’uomo deve costruirsi per impedire a tutte queste forze centripete di dilaniarlo, si indurisce sui suoi sentimenti che si congelano nell’urgenza dell’autocontrollo. Eppure, l’implosione è visibile e palpabile in ogni scena in cui compare.

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Forse secondario, ma non per questo meno struggente, è il personaggio di Madame Katz (Shulamit Adar), che lava e stira i vestiti della figlia – ebrea, disabile, deportata nei campi di concentramento – nell’incrollabile certezza di vederla tornare, prima o poi. La sua maschera tragica, così ben rappresentata dai tratti dell’attrice che la interpreta, è una nota acuta in una sinfonia rarefatta e monotonale: i sorrisi forzati della signora, il suo affaccendarsi da massaia operosa, la routine che agogna così tanto a ricostruire sono i segnali più evidenti di un passaggio irreversibile, di una nuova era sociale ed esistenziale arrivata in maniera devastante. Il calore, l’intimità del privato, sono spazzati via dalla barbarie nazionalsocialista designando la Seconda Guerra Mondiale come la rottura definitiva del Vaso di Pandora da cui è emerso il peggio di cui è capace l’essere umano.

La douleur è al cinema il 17 gennaio 2019, distribuito da Valmyn, Wanted.

Regia - 3
Sceneggiatura  - 3.5
Fotografia - 2.5
Recitazione  - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

3