Jukai: La foresta dei suicidi – recensione del film con Natalie Dormer

La recensione di Jukai: La foresta dei suicidi, il nuovo horror di Midnight Factory con protagonista una doppia Natalie Dormer

Tradizionalmente la foresta ha sempre rappresentato nell’immaginario collettivo un luogo sconfinato, di perdizione e soprattutto avvolto da assurdi misteri. Se parliamo poi della foresta di Jukai in Giappone (Aokigahara) allora possiamo davvero iniziare a rabbrividire. Conosciuta così in lingua locale per la grande quantità di alberi presenti (per l’appunto un mare di alberi) questo apparente paradiso naturale cela un terribile segreto. Tale assurda storia ha ispirato il film diretto dal regista Jason Zada dall’omonimo titolo (Jukai: La foresta dei Suicidi) che vede protagonista la Natalie Dormer conosciuta sul piccolo schermo grazie alla serie TV HBO Il Trono di Spade.

Jukai: La foresta dei suicidi – il film sulla nota foresta Aokigahara

Nella pellicola, conosciuta precedentemente con il titolo di The Forest, la Dormer interpreta un doppio ruolo e mette in mostra tutte le sue doti attoriali drammatiche, dove avrà a che fare con il suo doppio, il suo alter ego, la sorella Jess apparentemente scomparsa in questo mare sconfinato di alberi e terrore. Ed è proprio qui che parte la trama della nostra storia, una ricerca impegnata e quasi compulsiva porterà Sara a intraprendere un viaggio lungo e disperato in Giappone, confrontandosi con la cultura del luogo, le usanze, i costumi e i racconti che la mettono in guardia dal mondo oscuro che si nasconde dentro Aokigahara.

La regia di Zada si basa senza dubbio sulla tradizione classica del genere, prendendo spunto da quel cult che terrorizzò il mondo, The Blair Witch Project, che ancora oggi avvinghia intere cerchie di fan. In questo caso manca il POV della macchina da presa, ma il regista sa bene come farci addentrare nell’orrore della foresta, nella più ancestrale delle paure, ovvero l’essere terrorizzati da qualcosa che non si conosce. Così come accade in Ju-on di Takashi Shimizu, la foresta sembra far innescare un meccanismo di odio, di rancore, tipico della cultura horror giapponese, che apparentemente non spaventa Sara, ma che lentamente lavorerà la psiche della donna con un abile gioco di jump scare innestati in sistema di visioni e apparizioni terrificanti. In questa lenta ed inesorabile erosione mentale della protagonista s’inserisce un abile gioco di luci, una fotografia dapprima quasi calda per poi ascendere lentamente verso toni più cupi, più freddi.

Jukai: La foresta dei suicidi – un pathos crescente con una grande Natalie Dormer

Jukai: La foresta dei suicidi è diviso in 3 tempi narrativi, che potremmo riassumere con i seguenti versetti: la scomparsa, la coscienza e la ricerca. Nel terzo atto narrativo sale in maniera preponderante il pathos della vicenda, la ricerca entra nel vivo e le paure di Sara iniziano a materializzarsi davanti ai suoi occhi, la foresta ha una coscienza, ha fame di anime e il passato della giovane donna riaffiorerà in tutta la sua violenza. Non mancano tuttavia i difetti a questo film, i cultori del genere troveranno senz’altro tanti (magari anche troppi) parallelismi con Blair Witch, un certo richiamo a quel tanto criticato remake americano di The Grudge (quando la cultura americana invade il suolo giapponese) e un tono narrativo non sempre avvincente come il terzo atto, ma non sono di certo questi i difetti che possono far incrinare il lavoro di un film sostanzialmente buono e godibile.

Jukai - La foresta dei suicidi

Di certo un motivo in più per vedere Jukai: La foresta dei suicidi è la presenza scenica di Natalie Dormer, fantastica nella doppia interpretazione, enigmatica, torturata e a tratti psicopatica. Jukai: La Foresta dei suicidi non è privo di difetti ma, come già detto in precedenza, non ne precludono affatto la visione e lo rendono un buon film di genere.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.8